RICORDI DEL 18 AGOSTO 1860 A POTENZA

 

Giovanni Michelangelo Paladino nacque a Potenza nel 1842 e morì a Napoli nel 1917. Fu un grande medico di prestigio internazionale, noto in tutta Italia ed anche in Germania e negli USA. Fu Rettore della Università di Napoli dal 1907 al 1909 ed anche senatore del Regno. Da giovane, Paladino aveva partecipato ai moti risorgimentali del 18 agosto 1860 a Potenza, la sua città, e per ricordare quegli storici eventi scrisse per il giornale ‘Il Lucano’ un breve testo dal titolo ‘Nel Cinquantenario del 18 Agosto 1860. Ricordi” (Potenza, 1910). Un breve testo ma molto importante nel quale Paladino descrive nei dettagli l’epica e celebre giornata così fortemente presente nella memoria di Potenza, giornata che pochissime volte viene riportata dettagliatamente alla memoria. Si tratta proprio del testo che riproponiamo e che riscopriamo in questo numero.

 

Una delle glorie più fulgide viventi di Potenza l’illustre fisiologo ed istologo, il prof. Giovanni Paladino, senatore del Regno, che fu tra i più entusiasti del nuovo verbo di libertà nel 1860 ed accorse da Napoli nella città natia a partecipare al moto insurrezionale con squisita bontà ci ha concesso l’onore di scrivere per noi questi ricordi.

giornale ‘Il Lucano’, Potenza, 1910

 

Non si è mai detto abbastanza per ricordare quella data memorabile. L’entusiasmo di tutti, il valore eroico di pochi fu superiore ad ogni immaginazione e solo pari all’importanza che quel glorioso episodio poté avere nel dare un incentivo al Garibaldi vittorioso per traversare lo stretto calabro-siculo e penetrare nel Mezzogiorno continentale; ed un opportuno pretesto al sommo Cavour per invadere le Marche prima ed il Napoletano di poi, affine di giungere a capitanare quel movimento insurrezionale che, sorto sotto gli auspici del gran Re Vittorio Emanuele II, minacciava di deviare dall’alta meta dell’Unità a cui da tutti i patrioti si mirava. L’insurrezione basilicatese, proclamatasi a Corleto nel giorno 16, si affermò vittoriosamente a Potenza il 18 agosto con un memorabile fatto d’armi; ove questo fosse mancato, la popolazione potentina avrebbe subito le più disastrose conseguenze per opera di una folla di gendarmi ferocemente eccitati e di una massa di belve che sarebbero state sguinzagliate dalle carceri abbastanza riboccanti. Ed invero ci fu un brutto gioco fra la furberia del comandante dei 400 gendarmi e la bonomia patriottica ed entusiastica di coloro che erano in quel momento a capo del movimento insurrezionale a Potenza. La furberia del primo si rivelò nel concentrarsi sul Monte Reale, poco distante dalla città (oggi pienamente integrato non solo nella città ma nel centro storico della città con zona adibito a parco pubblico n.d.r.), con tutti i suoi armati, all’alba del giorno 18; riservandosi ulteriore decisione al giungere, prima o poi, delle colonne insurrezionali mossesi dai vari paesi della Provincia  ed intanto lasciando un manipolo di gendarmi a guardia delle carceri. D’altra parte, si era in armi da tutti quelli provvisti di fucili e magari di una picca; ma mancava ogni accenno di organizzazione e senza darsi adeguato pensiero del forte gruppo di armati che minacciosi erano attendati nella vicinanza e che aspettavano ansiosi il comando per attaccare il loro malvagio disegno.

E la prova se n’ebbe allorché, presso il mezzodì, si presento in Città uno dei gendarmi, inerme, chiedendo il permesso di recarsi nelle carceri a portare ai compagni che vi erano a guardia l’ordine di lasciare quel posto e di andare a riunirsi ai camerati sulle mosse di abbandonare Potenza. In cambio lo scopo fu ben altro; fu quello di esplorare quali apparecchi di difesa si erano organizzati nella città, onde, non molto dopo, nell’ora del mezzodì, mettendo a calcolo l’ora del pranzo per non pochi e non scorgendo ancora alcuno delle colonne insurrezionali, che giunsero più tardi nel pomeriggio, i gendarmi si mossero da Monte Reale e rapidi si avvicinarono alla città e come giunsero sotto al Gomito Cavallo (l’attuale Piazza 18 Agosto ndr) si distesero in colonna in atteggiamento guerresco; e così avanzarono e penetrarono per tre punti, cioè; per Piazza del Sedile, ove in fondo era il posto della guardia urbana, per la Via San Bonaventura, sboccando dirimpetto la Tesoreria Provinciale, gestita dal Ginistrelli e per il vicoletto Lanzara. Fu in quel momento che si rivelarono l’ardimento, la bravura, l’eroismo vero di un piccolo nucleo di cittadini, che, intrepidi, aspettarono gli assalitori per i tre punti indicati e da abili tiratori che erano fecero trovare la morte ai primi che si avanzarono per la Piazza Sedile, per la Via San Bonaventura e per il vicoletto Lanzara. La difesa più gagliarda fu fatta in Piazza, ove vi era il posto della guardia urbana e verso lo sbocco della Via San Bonaventura dirimpetto al Palazzo Ginistrelli. Conseguenza ne fu che il brevissimo conflitto per l’abilità dei tiratori costò caro agli assalitori che in ben 22 restarono morti sul terreno e in quindici furono più o meno gravemente feriti; il che mise allo sbaraglio quella massa di jene che si erano avanzate al grido di “Viva il Re, sacco o fuoco” e che ebbero l’agio di vigliaccamente esercitare, in danno di una famiglia di abili artigiani sorpresi nella loro casa ed assolutamente inermi, con atti selvaggi. Ho voluto in questa occasione ricordare il fatto perché mi pare che nelle varie e pregevoli Storie dei moti lucani i nomi di coloro che si trovarono a gagliardamente fronteggiare l’attacco in Piazza Sedile siano restati interamente dimenticati dovecchè andrebbero elencati insieme a quelli che resistettero efficacemente dal palazzo della Tesoreria provinciale e tutti andrebbero segnati su una targa di marmo esposta nel luogo principale del conflitto per fare che siano di efficace esempio alle presenti ed alle future generazioni, poiché è sempre vero che il culto delle grandi memorie rappresenti il perenne alimento alle virtù dei popoli.

GIOVANNI PALADINO    

 

 

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