MA COS’E’ QUESTA CRISI DI POTENZA?

Ormai quello della crisi o della decadenza della città di Potenza è diventato un tema quotidiano di discussione. Un leit-motiv. Alcuni fanno risalire l’inizio di questa crisi a due o tre anni fa, altri parlano di una decina di anni, altri, ancora, vanno più indietro nel tempo arrivando a segnare l’inizio della decadenza più o meno agli albori degli anni ’90. Certo è che già nel 1998 l’ex sindaco Fierro diceva che la “città è in agonia, assillata da autentiche emergenze e sofferenze per un forte isolamento in campo regionale e nazionale”. Fierro tratteggiava un accerchiamento da parte del Melfese per l’insediamento Fiat, della Val d’Agri per il petrolio e del Materano per l’industria dei salotti. Di capitale della cultura allora non si parlava. Analisi esatta quella di Fierro di circa venti anni fa, ma anche curiosa. Perché Potenza dovrebbe sentirsi accerchiata ed isolata dallo sviluppo di altre aree regionali alle quali, invece, Potenza dovrebbe apportare, grazie al fatto di essere sede dei servizi più qualificati della regione, un certo valore aggiunto? Non ci si oppone, di certo, alla decadenza della città scaricando la colpa sulle fortune o sui successi di altre aree regionali. Vediamo piuttosto di esaminare in modo analitico le cause del declino o della crisi di Potenza da altre angolazioni, magari, da angolazioni meno indagate rispetto ai motivi che si sentono solitamente citare. Comincerei col dire che la crisi di Potenza deriva da cause diverse l’una dall’altra e che ovviamente poi vengono a sommarsi nel vissuto quotidiano dei suoi abitanti al punto tale da indurli ad abbandonarsi ad uno scoraggiamento depressivo dove, come diceva il grande filosofo, tutte le vacche diventano nere. La causa più profonda del malessere della città, però, non viene mai messa in evidenza ed allora vorrei farlo io.

 Potenza ha il suo punto forte nell’essere la città dei servizi, la città a più alta concentrazione di centri burocratici della regione. Ma, oggi, questo è anche il suo punto debole. Essendo il centro lucano che ha rappresentato in modo più eclatante questo modello è naturale che sia anche quello che più risente della crisi di questo modello. Mi riferisco al peso preponderante e, forse, anche abnorme non dell’apparato burocratico in sé (anzi, nel corso degli ultimi anni, questo peso è diminuito perché la tendenza sempre più stringente a livello nazionale è quella della riduzione dell’ipertrofia burocratica in modo direttamente proporzionale alla crisi del debito pubblico italiano), ma dell’apparato burocratico rispetto alle altre parti dell’economia e della società cittadine. Potenza ha perso negli ultimi anni molti posti di lavoro nella amministrazione pubblica e già questo è un forte indicatore di crisi, ma, nello stesso tempo, la perdita di questi posti di lavoro non è stata compensata da un aumento di posti di lavoro nell’industria (anzi, in quel comparto la crisi si è rivelata ancora peggiore), né dallo sviluppo in altri comparti economici. Soprattutto, pur ridotto nella quantità assoluta, il peso dell’apparato burocratico è rimasto inalterato rispetto ad altri settori economici cittadini e, quindi, la crisi non è servita nemmeno a ridurre lo scompenso tra settori dell’amministrazione e della burocrazia in favore di altri settori; l’industria è in pesante ritirata ed il peso della agricoltura sul PIL cittadino è irrisorio. Ma il peggio non è neanche questo. E’ che questa preponderante presenza burocratica non solo non è stata integrata aprendo strade nuove, aggiuntive (non sostitutive o alternative; Potenza non può e non deve rinunciare alla sua funzione prioritaria di capoluogo regionale e di centro erogatore di servizi più  o meno qualificati), ma è stata sempre, e non certo solo da oggi o solo negli ultimi venti anni, pesantemente condizionata dal modo in cui le classi politiche dominanti a livello nazionale, regionale e cittadino hanno gestito la cosa pubblica. Senza voler scomodare il pensiero del grande politologo Gaetano Mosca, si può senza dubbio affermare, per parafrasi, che la “formula politica” delle classi politiche dirigenti e/o dominanti di tutto il secondo dopoguerra è stata, soprattutto al Sud, soprattutto in Lucania, soprattutto a Potenza, incentrata sul meccanismo della selezione clientelare, meccanismo che ha prodotto effetti letali. Già da diversi anni è arrivata a Potenza l’onda lunga di quella perversione politico-sociale ed oggi, soprattutto  Potenza, epicentro regionale di questo sistema politico, è il posto in Lucania dove si paga in maniera esasperata il conto del fatto di essere stata una piccola capitale regionale basata su quel meccanismo. Quindi, a Potenza non funzionano da tempo immemorabile i meccanismi sociali che stimolano la voglia di fare, di progredire, di cimentarsi in nuove iniziative, in nuove sfide. Il mito negativo del potentino apatico è una costruzione figlia della storia cittadina degli ultimi decenni, ma non è una caratteristica costitutiva dell’essere potentino. Quando si crede che il proprio destino, le proprie fortune personali o familiari dipendano unicamente dal favore del politicante di turno, e non dai propri meriti, dalle proprie capacità e dalla propria voglia di fare, allora l’ambiente che fa da sfondo a quelle credenze ed ai meccanismi sociali che quelle credenze innescano è un ambiente rovinato, che vive solo in un eterno presente, senza più rapporti col proprio passato e senza proiezioni nel proprio futuro. Questo, soprattutto questo, è successo nella città di Potenza e questa, soprattutto questa, è la causa del male sociale, la prima causa, da curare. Il problema è che curare il male è impossibile se non si riesce almeno ad individuare con esattezza quel male. Ovviamente, poi, a questo motivo fondamentale se ne sono aggiunti degli altri, in parte connessi e conseguenti a questo primo motivo fondamentale, in parte no. Dal 2008, l’anno della seconda grande crisi economica e finanziaria mondiale (crisi partita dagli USA), è in atto una congiuntura economica molto sfavorevole, i cui riflessi su Potenza si stanno rivelando, anche in forza di alcuni motivi poc’anzi richiamati, fortemente critici. Secondo i dati Eurostat e Istat, le famiglie considerate povere ammontano a Potenza a 8.142 nuclei, pari a circa il 30% delle famiglie rilevate nell’ultimo censimento 2011, le persone considerate povere sono invece 23.342, più di un terzo degli abitanti della città e quelle considerate povere o a rischio povertà salgono a 33.003, pari alla metà dell’intera popolazione. Come si può essere sereni e fiduciosi sul futuro, come si può essere felici nella città dove si vive se la vita è così precaria e difficile? In questo quadro, si inserisce, a sua volta, anche la disoccupazione giovanile, soprattutto la disoccupazione intellettuale e lo fa con un dato che, per quanto riguarda Potenza, può sembrare, e in effetti lo è, clamoroso e finanche scandaloso; al netto dei tanti giovani potentini che hanno preso ormai da tempo la via dell’emigrazione, tra i giovani potentini tuttora residenti ne risultano disoccupati il 48,15% su cento; una media addirittura più alta della stessa media regionale: in Lucania i disoccupati giovani sono il 44,71%. Anche da questo punto di vista il morale della favola è lo stesso; quale clima di serenità, di ottimismo, di voglia di vivere e di fare si può avere in un posto, dove, nonostante la più alta concentrazione di strutture terziarie, la disoccupazione giovanile è in queste devastanti proporzioni?  Come può essere il clima spirituale in una città che versa in queste condizioni? In questa situazione è logico, è gioco forza che si finisca col vedere tutto nero, sommergendo col proprio pessimismo anche le cose che, invece, vanno bene, che funzionano, che, magari, costituiscono anche un motivo di orgoglio e di eccellenza per tutti i potentini. Proprio in questi ultimi giorni è stata diffusa una notizia molto interessante, una notizia che viene da Napoli, la capitale europea della disoccupazione. Il sindaco Luigi De Magistris ha annunciato che Napoli, dopo Livorno, sarà la seconda città italiana a sperimentare il reddito minimo garantito. Ora, sarà per il fatto che, in altre vesti, mi sono occupato e mi occupo tuttora molto della tematica del reddito minimo garantito, sarà che, sempre in altre vesti, ho avuto con De Magistris un lungo rapporto di sodalizio politico, ma penso che Luigi De Magistris sia il tipo di sindaco che ci vorrebbe per diverse città del Sud, specialmente per Potenza. Non so da dove trarrà i fondi per questa autentica rivoluzione sociale in una città devastata come Napoli ed in un Comune pure oberato di debiti come il Comune di Napoli. So soltanto che proverà davvero a fare qualcosa e so che la sua carica ed il suo protagonismo, chiamiamolo così, è benefico e salutare per Napoli. E vediamo, invece, cosa abbiamo a Potenza e chi abbiamo a Potenza alla guida del Comune. Vediamo chi abbiamo avuto. Vediamo cosa è successo a livello amministrativo; il livello amministrativo, è, appunto, la quarta delle cause della crisi di Potenza. In certe città virtuose, non solo del Nord, ma anche del Sud, il Comune è parte della soluzione. A Potenza, invece, il Comune è da tanto tempo parte del problema. Anche qui, anche a livello amministrativo, la capitale lucana può vantare un primato davvero ben poco invidiabile; solo a Potenza, caso unico in Italia, ci sono stati due dissesti finanziari comunali, uno a distanza di venti anni dall’altro. Ripeto; caso vergognosamente unico in Italia. Rebus sic stantibus, possiamo pensare a rivoluzionarie iniziative come quella a cui si accinge De Magistris a Napoli, che si muove in condizioni di bilancio quasi altrettanto difficili, se non di più? Per non dire dell’ordinaria amministrazione quotidiana; strade da tenere pulite, controllo sociale (per esempio; quanto la città ne guadagnerebbe esteticamente se si trovasse il modo di stroncare il fenomeno delle scritte deturpanti sui muri?). Per non dire di altre politiche che dovrebbero vedere il Comune in prima fila non solo nei confronti dei propri residenti, ma anche nei confronti di altri Enti che condizionano lo sviluppo e la riqualificazione della città (faccio solo il caso dell’ASI). Il quinto motivo di crisi può essere individuato nella crisi identitaria della città. Chi è oggi il potentino? Chi, magari, vi risiede da anni, ma vi risiede solo formalmente, burocraticamente, non essendo, in effetti,  interessato alla città ed al suo sviluppo, o, invece, chi ha in città forti radici nel tempo, chi tiene davvero alla città e la considera sua da sempre, ma, magari vive in altre città da anni (come il sottoscritto), non risultando più potentino all’anagrafe? Bella domanda, soprattutto in una città in evidente crisi di identità, alla evidente ricerca di se stessa e del suo passato, di un passato, per esempio, che, come sto avendo personalmente modo di verificare, oggi, conosce, al massimo, un potentino residente su mille. Ne deriva allora anche una ulteriore fenomenologia che va a mettere ancora più benzina sul fuoco della crisi potentina, la fenomenologia lamentosa della mancanza di orgoglio cittadino (una volta, neanche tanto tempo fa, ve n’era tanto di orgoglio fra i potentini), di autostima. Perché tutto ciò e perché tutto ciò accade oggi e non accadeva decenni fa? Forse, tutto ciò accade anche perché, in aggiunta ai guasti della burocratizzazione squilibrata (rispetto al resto del PIL cittadino, ma non tanto rispetto al resto della regione, come si recrimina più spesso), ci sono da mettere in conto anche i guasti derivanti da una difettosa metabolizzazione dei nuovi arrivati a Potenza? Intendo dire, metabolizzazione culturale ed identitaria che non solo è stata insufficiente negli ultimi anni (l’onda lunga ha colpito anche sotto questo aspetto), ma che rischia addirittura di stravolgere i caratteri identitari della città al punto tale che potentini come il sottoscritto, che tornano periodicamente in visita nella loro città, ad un certo punto finiranno col non riconoscerla più e col sentirsi anche loro del tutto estranei ad essa, anche se per motivi esattamente opposti a quelli dei nuovi venuti. L’aspetto identitario della crisi viene esacerbato, inoltre, dalla configurazione urbana che la città ha assunto negli ultimi anni; una città che sembra, certe volte, essersi estesa oltre ogni ragionevole aspettativa, una città con quartieri nuovi ma tutti scollegati fra di loro e dal centro. Il centro storico è proprio il … centro della questione identitaria potentina di oggi. La prima cosa da fare è la sua ulteriore riqualificazione ed il suo rilancio e sostengo ciò perché, anche sotto questi aspetti, Potenza è una città morta con un centro storico desertificato, volutamente desertificato, ma non è affatto una città brutta, idiozia alimentata dai suoi detrattori e amplificata, non meno stupidamente, da molti fra i suoi abitanti (specie da quelli di più recente insediamento urbano). Potenza città brutta o città più brutta d’Italia o d’Europa (mettiamoci anche del sistema solare e facciamo prima) è un luogo comune diffuso ad arte da chi vuol male a questa città, ma è frutto anche di una spaventosa ignoranza che alberga tanto nei detrattori o diffamatori della città, quanto tra molti dei suoi residenti attuali. Attenzione; ho detto fra molti dei suoi residenti attuali. Non ho detto fra i suoi figli. I due popoli potrebbero non essere più sovrapponibili, potrebbero non essere più esattamente gli stessi. Voglio far notare al lettore quanti sono i potentini che vivono a Roma, per non dire nel resto d’Italia ed anche all’estero. E’ un numero ormai veramente rilevante. La crisi di identità è, forse, la peggiore. Essa moltiplica l’apatia sociale, l’indifferenza sociale e rende la città di Potenza oggi un oggetto misterioso di difficilissima lettura per gli stessi potentini residenti, i quali stentano a capire quale sia la verità di fondo della loro città o, almeno, della città che abitano. La crisi identitaria è, nello stesso tempo, anche crisi di qualità. Di qualità del ceto culturale cittadino, ma, soprattutto, del ceto politico che la città esprime sia a livello comunale che a livello della rappresentanza alla Regione Basilicata o in Parlamento (potentini al governo non se ne vedono più da tanto tempo). E, in ultimo, cosa fa il Comune, cosa fanno i sindaci degli ultimi anni, compreso quello attuale in carica, per dare un po’ di morale ed orgoglio ai propri concittadini? Un esempio di come il Comune di Potenza intenda risollevare lo spirito di appartenenza, nonché l’orgoglio di essere potentini, si è visto in occasione del Capodanno. Mentre a Matera la Regione Basilicata finanziava la diretta Rai di uno spettacolino nazionalpopolare, a Potenza come si pensava di festeggiare il Capodanno? Con uno schermo in Piazza Prefettura collegato alla kermesse canterina di Matera. Risultato; i potentini hanno risposto all’invito del loro sindaco disertando totalmente il collegamento in piazza, segno che l’orgoglio cittadino è ancora, per fortuna, ben vivo a Potenza, nonostante tutto. Chissà se De Luca la sera del 31 dicembre ha recepito quel messaggio dei potentini. Ma a giudicare dagli errori che continua a fare, ultimo dei quali la sua presenza a Matera in occasione della firma del ‘Patto per la Basilicata’ (protagonisti dell’evento sono stati Renzi, Pittella e la città di Matera, mentre, riferiscono alcune fonti, De Luca se ne stava, ignorato da tutti, in quarta  fila), si direbbe proprio di no.

PINO A. QUARTANA

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