PREFAZIONE DI BENEDETTO CROCE ALLA ‘VIE D’ANDRE’ SERRAO, EVEQUE DE POTENZA’

Il più grande filosofo del 1900 italiano, Benedetto Croce, fu anche un grande storico. Tra i suoi lavori ci sono testi basilari per la storiografia italiana ed europea. Tanto più grande fu come storico perché fu un grande filosofo, il più grande filosofo italiano dell’epoca moderna. Un filosofo che scrive anche di storia ha, come si dice in termini sportivi, una marcia in più. Lo sguardo del filosofo è senz’altro più penetrante di quello dello storico convenzionale perché può aggiungere allo sguardo di quest’ultimo, spesso puro assemblatore di fatti storici, una griglia di filtri teorici che allo storico tradizionale sono quasi sempre preclusi. Ne fa fede il fatto che Croce, per esempio, scrisse “Teoria e storia della storiografia” (quindi fu un teorico della storia, un filosofo della Storia e non solo uno storico) oltre che “Il Regno di Napoli”, “Storia d’Europa” e “Storia dell’Età barocca in Italia”. Insomma, un livello semplicemente imparagonabile rispetto a quello degli storici convenzionali, soprattutto a quello degli storici convenzionali prettamente locali ed anche, sia detto senza offesa, a quello degli storici che si sono occupati dei fatti della Basilicata e che specificamente si sono occupati (molto male, purtroppo) dei fatti storici di Potenza. Immagino che sarà grande la sorpresa del pubblico potentino e lucano nell’apprendere che il grande Benedetto Croce si è occupato con molto interesse dei fatti storici potentini accaduti nel 1799 e che abbia tradotto e ripubblicato un testo ormai introvabile negli anni ’30 del secolo scorso, un testo che era sparito dalla circolazione, a dire il vero, già verso i primissimi anni del 1800 e cioè la biografia del Vescovo di Potenza Giovanni Andrea Serrao scritta dal suo amico il vescovo Domenico Forges Davanzati. Il titolo originale dell’opera era: “La vie de André Serrao, eveque de Potenza, dans le Royaume de Naples, ou histoire de son temps”, edito e stampato “par l’Imprimerie de la Rue de l’Echiquier”. Luogo della pubblicazione: Parigi. Fu, quindi, nella capitale francese, prima ancora che a Potenza, che si narrarono per la prima volta i fatti potentini del 1799 e che fu messo nel giusto risalto storico il reale profilo del grande vescovo giacobino di Potenza. Fu il vescovo giacobino Domenico Forges Davanzati  il primo che scrisse di Serrao e dei gloriosi, quanto tragici, fatti potentini del 1799 e non, come si è sempre ritenuto, lo storico locale Raffaele Riviello, che scrisse di quei fatti in “Cronaca potentina dal 1799 al 1882”, un libro pubblicato molto più tardi, nel 1888, a Potenza. Purtroppo, gli storici locali hanno tranciato di netto tutto, come dire?, il grande rilievo nazionale ed internazionale sia del vescovo Serrao, sia dei fatti potentini del 1799, come si può cominciare a capire già da questa prefazione di Benedetto Croce e da ciò che andrò a pubblicare nei prossimi giorni, sempre in relazione a Potenza 1799.

(P.a.Q.)

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Di Giovanni Andrea Serrao, vescovo di Potenza, ebbi occasione di delineare il carattere e ricordare la vita nel mio saggio sulla Vita religiosa a Napoli nel Settecento, discorrendo dei regalisti, giansenisti e filo giansenisti napoletani. Dipoi ha fatto cenno nei suoi scritti di argomento religioso il Jemolo nel libro sul giansenismo italiano. Ma mi era rimasto il desiderio di ristampare la Vita che di lui nel 1806 pubblicò in Parigi il suo amico Domenico Forges Davanzati, vescovo di Canosa. “Regalisti” e inclinanti al giansenismo erano l’uno e l’altro; nominati l’uno e l’altro vescovi, contro la voglia del Papa, dalla ferma volontà del governo napoletano, allora vindice risoluto e tenace dei diritti dello Stato contro la Chiesa; l’uno e l’altro rivoltisi alle nuove idee di libertà dopo che le paure suscitate dalla rivoluzione francese  avevano indotto il governo napoletano a stringere di nuovo il nodo di Cesare con Piero; nella Repubblica, il Serrao tra i prelati che presero subito le parti del nuovo regime contro la vecchia monarchia, e il Forges Davanzati nominato tra i venticinque del Governo Provvisorio; il primo trucidato nella sua sede episcopale in uno dei moti della Santa Fede, ossia della reazione; il secondo sfrattato dal Regno ed esule in Francia dal 1799 al 1806. E dei due, quegli che sopravvisse, volle rendere testimonianza dell’altro e fermarne l’immagine pei posteri. Ciò fece a istanza del maggior rappresentante del giansenismo francese, l’abate Grégoire, il quale proprio allora commemorava i giansenisti napoletani, vittime della reazione, nel suo opuscolo Les ruines de Port-Royal des Champs. Poiché del Serrao è già detto ampiamente nel presente volume, gioverà segnare le note della vita del suo biografo. Domenico Forges Davanzati era nato in Puglia a Palo del Colle nel 1742, ed era nipote del dotto arcivescovo di Trani, Davanzati, del quale negli anni appresso curò per le stampe la Dissertazione sopra i Vampiri (Napoli, 1774). Scolaro di Antonio Genovesi, al pari del Serrao, si laureò in Napoli nel 1769 in diritto canonico e civile, e nel 1775 raccolse le Lettere familiari  del suo maestro Genovesi. Membro del’Accademia delle Scienze, fondata in Napoli nel 1778, vi lesse alcune memorie di archeologia e di storia sugli avanzi del Tempio di Giunione Lacinia presso Crotone e sulla famiglia di re Manfredi. Queste ultime composero poi la Dissertazione sulla seconda moglie del re Manfredi e su’ loro figliuoli, pubblicata in Napoli nel 1791, pregevolissima per serie ricerche archivistiche e buon giudizio critico; onde egli ricevette l’incarico di compilare il Codice Diplomatico del Regno. Come poi nella lotta impegnata tra la corte napoletana e la curia romana, fosse nominato dal re nel 1785  vescovo di Canosa, chiese che era di quelle rivocate allora alla nomina regia e alla palatinità, è raccontato in questo volume. Nella sua sede episcopale, oltre a promuovere scavi e ricerche archeologiche, diè opera, conforme ai programmi e alle esortazioni del Genovesi, a istruire il clero e il popolo nei lavori agricoli. Nel 1796, accusato di giacobinismo, fu arrestato e chiuso in Sant’Elmo, rimanendovi fino al 1798. Dell’Ufficio da lui ricoperto nella Repubblica si è detto; e bisogna aggiungere che negli sforzi di impiantare e assodare il regime repubblicano fu variamente operoso. Nel marzo presentò una mozione per l’innalzamento di una colonna con i nomi di Emmanuele De Deo e di coloro che erano morti per la patria nei recenti combattimenti e stragi; e tra questi segnò “Andrea Serrao, vescovo di Potenza, che eresse l’Albero della libertà di sua mano e ucciso morì proferendo: Viva la Libertà”. Entrate in Napoli le truppe del Ruffo, fu tra coloro che si raccolsero in Castelnuovo, e che per effetto della capitolazione, condotti sulle navi per essere trasportati in Francia, furono poi impediti di partire per la rottura e annullamento che il Nelson fece della capitolazione. Ma, più avventurato di altri, che da quelle imbarcazioni passarono alle carceri e al patibolo, egli partì per la Francia insieme con un suo nipote che aveva combattuto per la Repubblica. In Francia, si legò d’amicizia col Grégoire, che lo agevolò per gli studi e lo raccomandò per un sussidio, che ebbe dal governo francese, essendogli stati confiscati i beni e le rendite della sua chiesa, né restituitigli, nonostante la pace del 1801. A Napoli non tornò, se non dopo la riconquista francese del 1806, dovendosi considerare mera finzione letteraria quel che nella dedica al Grègoire della Vita del Serrao, dove l’autore si dà per francese, è detto; che vi sarebbe tornato al seguito delle truppe francesi nel 1803. Al suo ritorno in patria riprese gli studi partecipando ai lavori del Regio Istituto di incoraggiamento ed alla Accademia Pontaniana allora fatta rivivere (e che non si sa perché, dopo oltre un secolo di vita onorata e operosa, sia stata ora, di punto in bianco, soppressa); si occupò soprattutto di geografia fisica e di geografia antica. Morì nella sua terra natale il 12 agosto 1810.

La Vie d’André Serrao fu bene accolta in Francia e se ne preparava una traduzione tedesca, come è detto in una lettera di Charles de Villiers, da Lubeck, del 15 luglio 1806, nella quale il ben noto emigrato e pubblicista fa grandi lodi al libro per le informazioni che vi si trovano sul poco conosciuto movimento ecclesiastico-politico napoletano e ne annuncia una recensione che avrebbe pubblicata nel giornale di letteratura di Halle. Ma in Napoli non circolò o fu fatta rapidamente sparire da clericali e da borboniani ed è ora un volume rarissimo, del quale l’unico esemplare, che io abbia mai visto, è posseduto dal mio vecchio amico Giuseppe Ceci, che l’ha messo a mia disposizione. Ristamparla nel testo francese, che non ha pregi letterari, non ci è parso né necessario, né conveniente: e perciò ne diamo una traduzione italiana alla quale ho aggiunto parecchie note per illustrare e per compiere il lavoro del Forges Davanzati. Possa questo libro ricondurre alle menti la ferma risolutezza e la tenacia grande onde i nostri maggiori, che pur erano sinceri cristiani e cattolici e non pochi di essi sacerdoti di vita irreprensibile, si comportarono nel respingere le ingerenze, le prepotenze e l’ingordigia della Curia Romana, e nell’asserire, insieme, coi diritti della società civile, quella profonda e seria morale, che non è l’accomodante morale dei preti.

BENEDETTO CROCE

Napoli, dicembre 1936

Traduzione di Ada Croce

 

 

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