IL MUSEO DIOCESANO DI POTENZA

Il Museo Diocesano di Potenza espone essenzialmente oggetti orafi e in argenteria e dipinti. Gli oggetti di argenteria sacra provengono dal Tesoro della Cattedrale. Molti dei manufatti artistici in argento e oro sono esposti al pubblico per la prima volta; calici, pissidi, croci, reliquiari, ostensori realizzati da argentieri napoletani tra il 1500 ed il 1800.

La maggior parte degli oggetti artistici in argento è stata donata da munifici vescovi che hanno retto la Diocesi di Potenza; Carlo Pignatelli, Gaetano Avigliano, Bartolomeo De Cesare,Ignazio Marolda, Michelangelo Pieramico. L’allestimento museale comprende anche dipinti su tela e su tavola provenienti dall’Episcopio e dalla chiesa potentina di San Francesco; antichi testi, fra cui la Bibbia miniata del XV secolo (1400) e il registro Parrocchiale del 1600, conservati nell’Archivio della Cattedrale. Voglio soffermarmi sulla Bibbia miniata e formulare alcune ipotesi affascinanti e suggestive. Il Museo Diocesiano la indica come prodotta da Franciscus Renner da Heilbronn o da Hailbrun. L’opera è indicata come stampata a Venezia nel 1483 (esattamente dal 1476 al 1483). La biografia di Franz Renner, uno dei primi stampatori di libri ed incunaboli, pubblicata nei siti tedeschi (Franz Renner era il suo nome d’anagrafe originario) ci informa che l’ultima opera stampata da Renner a Venezia fu la Biblia Latina cum postillis. La domanda sorge spontanea ed è carica di fascino; la Bibbia del Museo Diocesano di Potenza è proprio quella licenziata da Renner a Venezia nel 1483 o un lavoro di analogo soggetto? Ammetto di non avere ancora la risposta, ma sarà eccitante scavare più a fondo. Si tratta, comunque, di una opera pregevolissima e rarissima con un autore-editore tra i più importanti che la storia dell’editoria conosca. Infine, il Museo Diocesano presenta anche alcuni manufatti tessili tra i quali spicca un paramento liturgico del 1800 e tre mitrie. A queste opere, che costituiscono il primo nucleo dell’allestimento museale, si aggiungono testimonianze artistiche da chiese di altri comuni della Diocesi, secondo criteri dettati da precise scelte tematiche. Un sistema espositivo quindi concepito in maniera dinamica per rendere il percorso museale sempre nuovo e coinvolgente e per assicurare altresì la più ampia valorizzazione  e fruizione dei beni che fanno parte del patrimonio di arte e di fede della nostra città e della nostra regione. Il tesoro della Cattedrale di Potenza, nonostante il depauperamento avvenuto nel corso dei secoli che lo ha privato di alcune importanti testimonianze artistiche, conserva tuttora una grande quantità di oggetti di argenteria. Tra le opere perdute, si segnala la splendida ferula in argento e smalti commissionata nel 1459 ad un maestro argentiere da Antonio De Angelis, vescovo di Potenza di quel tempo, attualmente esposta al Metropolitan Museum di New York. Si tratta del cosiddetto Riccio di cui abbiamo parlato già in un articolo di questa nostra rivista. Le croci, gli ostensori, i Reliquiari attestano gli stretti rapporti intercorsi tra la committenza locale, sia laica, che religiosa, e Napoli, la Capitale, che fu il maggior centro di produzione di questi manufatti. La Capitale del Regno, soprattutto nel 1600 e nel 1700, è stato il centro di riferimento fondamentale per tutto il Mezzogiorno d’Italia nella produzione di prodotti artistici orafi e di argenteria (di arte sacra). Tra le opere presenti in questo percorso espositivo si segnalano dei manufatti particolarmente interessanti come il Reliquiario di Sant’Aronzo del 1541 di ispirazione tardogotica (non certo l’unica cosa a Potenza ispirata al tardogotico), la Pisside Reliquiario, originariamente un calice poi trasformato in pisside e poi ancora in reliquiario. Questo oggetto di arte sacra è molto importante anche per un altro motivo. Il Reliquario fu realizzato per contenere la preziosa reliquia del Sangue di Cristo, portata a Potenza tra il 1648 ed il 1656 dal vescovo Bonaventura Claverio. Nel percorso orafo-argentiero spiccano anche un superbo ostensorio del 1700, due calici fusi a giorno, uno dei quali lo stemma del napoletano Carlo Pignatelli, appartenente ad una delle famiglie aristocratiche più in vista del suo tempo a Napoli e che fu Vescovo di Potenza dal 1715 al 1722, la maestosa Croce astile del 1714 realizzata dall’argentiere Giovanni Battista Buonacquisto, un Altarolo portareliquie in carta dorata e dipinta, contenente le reliquie di alcuni santi, prodotto in una bottega del Centro Italia, il Calice siglato dall’argentiere Carmine Murolo, autore anche di una pisside a Laurenzana, il Parato di cartaglorie del 1748 e gli argenti della prima metà del 1800, che già avvertono, come nelle altre espressioni artistiche (pensiamo alla architettura, ad esempio), la vena neoclassicista di quel tempo. Si tratta della Brocca con bacile, opera del maestro Francesco Gallo, del piccolo Vassoio dell’argentiere napoletano Gabriele Sisino, e del prezioso Ostensorio ambrosiano del 1933, fatto realizzare in oro massiccio per custodire le reliquie del Preziosissimo Sangue di Cristo e poi utilizzato come ostensorio. All’interno, anche Tre Mitrie ed un Paramento liturgico commissionato dal vescovo Marolda (1822-1837). E  veniamo ora al percorso pittorico. Per cominciare, ci sono due tele; la Madonna con Bambino tra Sant’Antonio e San Filippo Neri e la Madonna del Rosario. L’iconografia del primo dipinto rappresenta l’apparizione della Vergine, seduta su una vaporosa nube con il Bambino in piedi sul suo grembo, ai due santi Antonio e Filippo Neri, che, estasiati, spalancano le braccia a questa sublime visione. La bella tela della Madonna del Rosario è opera di un artista del 1600 educato alla cultura pittorica centrosettentrionale. Purtroppo non se ne conosce il nome. Ma il Museo Diocesano di Potenza ospita altre due tele con nome identico, altre due Madonna col Bambino. Una delle due è la Vergine che allatta il Bambino dormiente opera di un anonimo che rielabora la pittura napoletana tra 1600 e 1700 e poi c’è una Madonna con Bambino dipinta da un anonimo artista lucano della prima metà del 1600 vicino al pittore napoletano Massimo Stanzione, ma è un’opera più approssimativa rispetto a quella dello stile dell’importante esponente del Barocco napoletano. Le cinque tavole delle Storie di Sant’Antonio sono firmate da un pittore lucano minore quale fu Girolamo Bresciano, allievo del Pietrafesa, e datano marzo 1645.

P.a.Q.

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