POTENZA, I NAZISTI ED IL FALLITO BLUFF DELL’ORO ITALIANO

Il 1943 vide Potenza al centro di molti importanti eventi bellici; il disfacimento della VII Armata dell’Esercito Italiano la sera dell’8 settembre (una delle tredici Armate in cui era strutturato l’Esercito italiano), il cui comando aveva sede proprio a Potenza, il suicidio del colonnello Faccin, i bombardamenti a tappeto sulla città con i suoi 187 morti (non solo potentini), l’ordine del generale inglese Harold Alexander, Capo di tutte le Forze Alleate in Italia, di prendere Potenza, l’eccidio di tre contadini da parte dei nazisti, la liberazione della città con la ‘Battle of Potenza’, una delle più importanti combattute e vinte dai canadesi nella loro campagna bellica d’Italia. Ne abbiamo già parlato nella rivista ‘Potentia Review’ con un articolo apposito che rievoca e ricostruisce quella battaglia e l’importanza che ebbe non solo per Potenza ma anche per l’Esercito di quel grande e vasto Paese che è appunto il Canada. Parimenti, abbiamo già parlato nei mesi scorsi su P.R. di tutti gli importanti eventi bellici appena ricordati e che si svolsero a Potenza. Quella già nutrita lista va però completata con un altro episodio storico, la cui rilevanza, anche in quel caso, travalicò i confini cittadini per diventare un importante affaire della storia italiana, specialmente di quella del secondo conflitto e in particolar modo di quella che si svolse, come tutti i fatti accaduti a Potenza, dopo l’8 settembre del 1943. I fatti che voglio raccontare sono stati approfonditi in un libro uscito con i tipi della Laterza nel 2000 e sono stati ripresi in un articolo uscito sulle pagine del quotidiano SOLE 24 ORE un mese fa. Il titolo del libro è; “I nazisti e l’oro della Banca d’Italia”. Si tratta, come si evince già dal titolo, di una grande questione che ha segnato non solo la storia militare e politica italiana, ma anche la storia economica.

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Alcuni anni prima dello scoppio della guerra, con l’aggravarsi della situazione internazionale, Mussolini aveva posto il problema di collocare i valori depositati nella sede centrale della Banca d’Italia in un luogo che offrisse maggiori garanzie di sicurezza in caso di attacco nemico. Si pensò così di scegliere L’Aquila, che era lontana dalle grandi vie di comunicazione e che Mussolini riteneva più facilmente difendibile dagli attacchi aerei. All’inizio della guerra, effettivamente, furono trasferiti a L’Aquila alcuni valori e si dette vita anche ad una stamperia, ma l’oro continuò a rimanere nei caveau della Banca d’Italia a Via Nazionale a Roma. Nella primavera del 1943 il problema venne di nuovo a galla a causa dell’andamento sfavorevole della guerra e della possibilità che l’oro italiano potesse cadere nelle mani delle Forze Alleate angloamericane nel caso di un loro sbarco in Italia (che si ebbe effettivamente). L’allora Governatore di Bankitalia, Azzolini, di concerto con l’allora Ministro delle Finanze, Acerbo, cominciò a tracciare un piano per il trasferimento dell’oro in Alto Adige, ma la cosa non fu poi possibile a causa del fatto che gli avvenimenti del 25 luglio 1943 impedirono che il processo di trasferimento dei lingotti in Alto Adige si concretizzasse.

Dopo la caduta del Regime fascista ed anche prima della stipula dell’armistizio dell’8 settembre, il governo Badoglio mise immediatamente allo studio il problema del trasferimento dell’oro italiano in una o più città del Nord perché quella volta, oltre al pericolo che l’oro venisse trafugato dalle forze angloamericane, si era aggiunto anche il pericolo che a trafugarlo ed a ‘rubarlo’ potessero essere le truppe naziste o tedesche. Non è chiaro dove Badoglio volesse portare l’oro italiano; forse in una città piemontese per poi spostarlo in Svizzera e metterlo definitivamente al sicuro dai nazisti. Ma anche questo progetto ristagnò per difficoltà sopraggiunte e soprattutto perché la Germania invase il Nord Italia con dieci nuove divisioni, che, in pratica, controllavano ogni snodo delle comunicazioni in Alta Italia. L’11 settembre del 1943 ad Azzolini venne proposto di trasferire l’oro in Sardegna, che era stata già liberata dagli angloamericani, ma dopo la guerra lo stesso Azzolini disse che questo episodio era stato del tutto inventato.

Dopo l’annuncio dell’armistizio la questione si fece ancor più drammatica anche perché a quel punto veniva a coincidere con quella  del controllo di Roma, dove l’oro aveva continuato ad essere depositato. E’ fin troppo noto che la decisa reazione delle truppe tedesche, intenzionate ad occupare Roma, e soprattutto la mancata difesa della Capitale da parte del Re e del Governo Badoglio, in fuga verso Brindisi, lasciarono ai tedeschi, già dal 10 settembre, il completo controllo di Roma, che si aggiungeva a quello di tutta l’Italia centrosettentrionale. Si apriva così la fase più drammatica della storia dell’oro italiano perché tra il 10 ed il 23 settembre il totale controllo di Roma da parte dei tedeschi fece tornare a questi ultimi il desiderio di impadronirsi dell’oro italiano. I tedeschi persero un po’ di tempo a disputarsi tra di loro chi dovesse coordinare le operazioni di sequestro e trafugamento dell’oro italiano, anche se erano d’accordo sul fatto di portarlo via da Roma il prima possibile. Il Feldmaresciallo Goering lanciò l’idea di trasportare direttamente lo stock aureo in Germania come bottino di guerra in conseguenza del “tradimento” italiano, ma prevalse la tesi del plenipotenziario del Reich in Italia, Rahn (nominato direttamente da Hitler), che preferiva non appropriarsi immediatamente delle riserve aurifere italiane perché la costituzione della Repubblica Sociale Italiana di Salò lasciava intendere che l’Italia potesse ancora dare qualcosa al Reich tedesco. Quindi, i nazisti decisero di portarsi l’oro italiano verso il Nord in una zona più strettamente controllabile e vicina alla Germania anche perché si era costituita la R.S.I. sotto il loro controllo. Nel frattempo che le autorità del Reich definissero meglio modalità e destinazione dell’oro al Nord, i dirigenti della Banca d’Italia pensarono di celare ai tedeschi l’esistenza dell’oro nascondendolo nelle intercapedini della sacristia in cui era conservato e murando la porta d’ingresso. L’idea fu proposta verso il 15-16 settembre dal vicedirettore generale Introna ad Azzolini che la approvò. Il 20 settembre tutti i lavori per allestire il nascondiglio furono ultimati. Per giustificare la mancata presenza dell’oro nel caveau fu simulata una spedizione dell’ammontare dell’oro, retrodatata al 19 dicembre 1942. La versione che i dirigenti della Banca d’Italia avrebbero sostenuto dinanzi ai gerarchi nazisti a Roma era che, per l’appunto, l’oro italiano , o quasi tutto l’oro italiano, era stato trasferito il 19 dicembre 1942 a Potenza, presso la sede della Banca d’Italia di Potenza. Da notizie ufficiose in possesso di Azzolini e di Introna si riteneva che Potenza era sul punto di essere liberata dagli angloamericani. Si trattò di un bluff molto rischioso perché nessuna modifica, per l’evidente difficoltà e onerosità dell’operazione, fu apportata ai registri di contabilità ed alle evidenze giornaliere della Cassa Centrale, per cui un controllo approfondito da parte dei tedeschi avrebbe potuto svelare senza eccessive difficoltà il bluff del trasferimento pregresso dell’oro italiano a Potenza. La richiesta ufficiale, proveniente dall’Ambasciata tedesca, di trasferire l’oro italiano nel Nord Italia, pervenne ad Azzolini, nella mattinata del 20 settembre, poche ore dopo il completamento dei lavori del nascondiglio, del resto, eseguiti perfettamente per ingannare i tedeschi. Per guadagnare tempo. l’ultimatum per la consegna era alle ore 15,00 del 20 settembre, i massimi dirigenti della Banca d’Italia si riunirono per decidere il da farsi. Serpeggiava tra di loro il timore che i nazisti fossero venuti a conoscenza dei dati riguardanti l’oro e tenendo conto che Potenza risultava a quel punto essere ancora in mano tedesca, con la conseguente possibilità per gli occupanti di verificare facilmente la veridicità della spedizione ma anche l’effettiva esistenza nella sede della Banca d’Italia di Potenza di Via Pretoria dell’oro italiano, Azzolini ordinò di far abbattere il muro e di rimettere l’oro al posto in cui stava. Si erano arresi e rinunciarono a portare avanti il patriottico bluff. Eppure il bluff poteva riuscire. Per due motivi. Il primo è che, contrariamente a ciò che pensavano i dirigenti della Banca d’Italia (pensavano che Potenza fosse ancora nelle mani dei tedeschi), in quelle stesse ore concitate di Palazzo Koch, Potenza veniva liberata dalle truppe alleate (all’incirca nel primo pomeriggio del 20 settembre), precisamente da truppe dell’esercito canadese. Fu un gran peccato che Azzolini e gli altri dirigenti della Banca d’Italia non avessero notizie in tempo reale da Potenza perché il loro bluff avrebbe anche potuto reggere in quanto tra le ore 12,00 e le ore 15,00 del 20 settembre in cui avveniva la liberazione di Potenza i nazisti non avrebbero più potuto controllare se l’oro della Nazione Italiana si trovasse effettivamente nei caveau di Via Pretoria a Potenza o meno. Il secondo motivo è che da ciò che emerse successivamente sembra che i nazisti non avessero il 20 settembre 1943 alcuna idea della effettiva consistenza delle riserve auree italiane, per cui o si poteva tirare il gioco ancora per qualche ora col parallelo bluff di Potenza oppure si poteva consegnare al Reich tedesco solo una minima quantità della strategica ricchezza aurifera dell’Italia. L’oro italiano a quel punto fu trafugato dai tedeschi e fu portato a Milano.

PINO A. QUARTANA

 

Nel collage fotografico; in alto – La Sede centrale della Banca d’Italia a Roma in Via Nazionale (Palazzo Koch);

in basso; La Sede Regionale per la Basilicata della Banca d’Italia a Potenza in Via Pretoria.

 

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