PARAT E PARATICCH’ E LA MASCHERA DI POTENZA

“Parat e paraticch’ damm’ ‘na ‘nzenga d’ sav’cicch’, si nun m’ n’ vuo’ dà, ‘nata cosa m’aja dà”. Era esattamente con questo stornello divertente e, allo stesso tempo, un po’ irriverente, che noi bambini e ragazzini degli anni ‘80, nel periodo di Carnevale, seguendo e rispettando un’antica tradizione potentina, eravamo soliti girare di casa in casa, rigorosamente truccati e con abiti carnascialeschi dell’ultima moda o, ancora meglio, cuciti dalle sapienti mani di un’abilissima sarta, per racimolare qualsiasi cosa la gente fosse disposta a donarci. Ed era una gioia quando, a fine serata, ci riunivamo e si cacciava tutto quello che avevamo avuto. Usciva di tutto: dai soldi, alle caramelle e cioccolate, ai giocattoli, fino ai cap’ d’ sav’cicch’. Mmmmm … che bontà, e tutto si divideva, equamente; anche i soldi che si erano raccolti. Lo ricordo ancora il mio ultimo abito col quale andai a fare Parat e paraticch’. Gonnellone fiorato su fondo scuro, lungo fino alle caviglie, bellissima camicia lucida di raso color aragosta, foulard di voile rosso bordato da una fascia argentata e tempestata di cristalli multicolor che avvolgeva la fronte e si legava dietro la nuca. E, per finire, un bel neo disegnato sulla guancia sinistra. Sì, un neo, perché a casa mia si riteneva che una zingara fosse ancora più bella con un neo sul viso. Ai miei tempi a scuola si studiavano anche le maschere regionali e, puntualmente, quando si arrivava alla Basilicata, nessuno mai sapeva se esistesse o meno una maschera tradizionale locale. E’ stato, quindi, bellissimo quando, pochi anni fa, esattamente il 20 giugno 2010, sotto la spinta del lavoro di ricerca del dottor Lucio Tufano, cultore e conservatore della storia cittadina, finalmente si è riscoperto il personaggio di Sarachella, la maschera simbolo di dignitosa povertà materiale, consacrandola ufficialmente a maschera della tradizione popolare di Potenza. Dunque oggi, anche Potenza può ben vantarsi di avere la sua maschera di Carnevale. Una poesia moderna dedicata a questo personaggio così recita:

Ecco, arriva Sarachella

con la bella coppolella,

la saraca nella mano,

se ne viene piano piano.

La giacchetta verdolina,

sbrindellata e un po’ cortina,

con lo spago e’ mantenuta

mentre si fa una bevuta.

La camicia, a quadrettoni,

cade sopra i pantaloni

che son larghi e con le toppe,

ce ne son finanche troppe!

La collana sulla giacca

è color di ceralacca,

con le belle ceraselle

rosse rosse e piccantelle.

Ha le scarpe un po’ vecchiotte,

se le guardi sono rotte

ma con quelle se ne va

via  per tutta la citta’!

 

La maschera di Sarachella è descritta e raffigurata con la saraca in tasca ed il diavulicchio nel taschino. Ma chi è Sarachella? E’ un personaggio che nasce dalla realtà potentina verace. Conoscitore dei fatti e dei misfatti di tutti, uomo di strada, o, meglio, dei vicoli del borgo potentino, non sottomette la sua persona a nessuno, pur vivendo la sua povertà in stracci e con geniale perspicacia. Povero, irriverente, perennemente affamato ed innamorato di una donna per lui inarrivabile (Rusina), ama giocare, scherzare e indossa vestiti rattoppati. Personaggio dalla battuta pronta – “salace ma non amara”, si dice, – è l’espressione di una genialità volta a suscitare generosità a suo vantaggio. Sarachella è l’ideale dell’appartenenza alla propria terra, ma anche un’idea di vita che va avanti da sé, senza fronzoli e con poco spazio per le apparenze. Da tempi memorabili, il carnevale è sempre stato, per eccellenza, la festa dell’allegria e delle abbuffate che precedevano il periodo di digiuno e penitenza dettato dalla Quaresima. L’etimologia del termine “carnevale” risale, con ogni probabilità, al latino carnem levare, espressione con cui nel Medioevo si indicava la prescrizione ecclesiastica di astenersi dal mangiare carne a partire dal primo giorno di Quaresima, cioè dal giorno successivo alla fine del carnevale, fino al “giovedì santo” che precedeva la Pasqua. Nel calendario liturgico cattolico-romano il carnevale si colloca tra l’Epifania (6 gennaio) e la Quaresima. Le prime fonti documentarie risalgono ad epoca medievale (sin dall’VIII secolo) e parlano di una festa caratterizzata da uno sregolato godimento di bevande, cibi e piaceri sensuali. Per tutto il periodo l’ordine sociale vigente veniva sovvertito e si scambiavano i ruoli soliti, nascondendo la vecchia identità dietro delle maschere. Carnevale era ed è la celebrazione del travestimento: di quella promiscuità ribelle che sovverte l’ordine naturale e morale stabilito, di quella ambiguità che confonde realtà e apparenza, verità e finzione. Per essere ancora più precisi, i caratteri della celebrazione carnevalesche hanno origini in festività molto antiche, come per esempio le dionisiache greche (le antesterie o i saturnali) romani. I festeggiamenti di solito culminavano con il processo, la condanna, la lettura del testamento, la morte e il funerale di un fantoccio, Carnevale appunto, che rappresentava, allo stesso tempo, sia il sovrano del mondo di “cuccagna”, sia il capro espiatorio dei mali dell’anno passato. La fine violenta del fantoccio poneva termine al periodo degli sfrenati festeggiamenti e simboleggiava un augurio per il nuovo anno in corso. Oggi, purtroppo, i nostri figli non conoscono la bellezza del periodo più allegro dell’anno. Non l’hanno mai vissuto così intensamente e gioiosamente come l’abbiamo vissuto noi. Con un velo di tristezza, dico che i miei figli e i loro amici conoscono Halloween, purtroppo, e immaginano che sia più bello fare “dolcetto o scherzetto” anziché parat e paraticch’. La globalizzazione ha spersonalizzato le nostre culture e tradizioni. Ed è molto difficile oggi riprenderle e ritrovarle senza un forte senso di appartenenza al proprio luogo natio. Finalmente, quest’anno a Potenza si ricomincerà a fare le famose “sfilate di Carnevale”, con carri, musica, allegria, maschere e soprattutto persone che vogliono ritrovare la bellezza di questo periodo dell’anno di cui ci eravamo dimenticati nel corso degli ultimi vent’anni e più. … allora: allegria gente, scendete in piazza e unitevi a me per festeggiare Carnevale.

 

KATIA LACERRA

 

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