ARTE FIAMMINGA A POTENZA: DIRCK HENDRICKSZ

C’è un quadro in una delle nostre chiese di Potenza che è riuscito per più di quattrocento anni a giacere su una parete senza far parlare di sé, senza farsi mai notare dai potentini, senza che i potentini ne sapessero niente. Non solo. Si tratta di un quadro totalmente misconosciuto, a cominciare, come spesso accade ed è accaduto a molte tele nel Sud Italia, dal suo vero autore. Nel caso che sto introducendo, finanche la Sovrintendenza ancora verso la fine degli anni ’70 (del 1900, ovviamente), cioè appena quaranta anni fa, ne sbagliava l’attribuzione. Veniva infatti considerato un “quadro tardomanieristico, eseguito a cavallo tra il 1500 ed il 1600” e veniva attribuito probabilmente a Gerolamo Imparato. Prima ancora, veniva attribuito dagli studiosi d’arte ad “ignoto cinquecentesco”. Insomma, un quadro figlio di nessuno. Senza importanza alcuna. Solo dopo il 1980 gli studiosi, con Anna Grelle Iusco in testa, grande ed insuperata studiosa dell’arte in Basilicata e nel Sud, capiscono finalmente, ben dopo 400 anni dalla probabile data di realizzazione della tela (1580 o 1595 ancora non è chiaro questo dettaglio), chi è il vero autore. La critica d’arte dopo quella data, solo dopo quella data, è unanimemente e definitivamente concorde nell’attribuire quel quadro a Teodoro D’Errico. Ma, nonostante ciò, i potentini continuano ad ignorare quella tela, a non saperne nulla. Non azzardo il numero dei nostri concittadini che conoscono, anche se vagamente, cosa c’è nelle chiese della città e, ancor più vagamente, i nomi degli autori dei quadri in esse racchiusi; francamente non lo so. Si contano su una mano? Forse, su due mani? E quanti erano nel momento in cui, poco dopo il 1980, venne fuori la notizia che la ‘Madonna col Bambino tra i Santi Pietro e Paolo’, presente dal 1580, o giù di lì, nella nostra Chiesa di San Michele era di Teodoro D’Errico? Faccio già un’enorme fatica ad immaginare che i potentini, tanto più in un periodo in cui la sola preoccupazione di ognuno era quella di riprendersi dalla tragedia del terremoto, si siano posti la classica domanda del Manzoni: D’Errico, chi era costui? La domanda del Carneade, in altri termini. Ciò si può spiegare abbastanza facilmente con la psicologia di massa, con la forma mentis del potentino medio, patologicamente convinto che la città non possa esprimere nulla di veramente valido per cui, ammesso che qualcuno si sia davvero posto il problema, ne avrà ricavato subito la conferma al suo cronico masochismo. D’Errico? E chi poteva essere un pittore con questo cognome, se non un minore, anzi uno degli ultimi minori anche nello stesso ambito regionale? Magari, un potentino o, tutt’al più, qualche oscurissimo pittorucolo della provincia. Si sa che il cognome D’Errico è discretamente diffuso a Potenza ed in provincia per cui tutto torna o, tornava, nel ragionamento del potentino di trentacinque anni fa. D’Errico, chi era costui? Un povero pittorello sfigato della Potenza o del contado potentino di quattrocento anni fa. Se non era qualcosa del genere, mica dipingeva un quadro per una chiesa di Potenza? E così il potentino medio dei primi anni ’80 avrà liquidato la questione in due secondi. Bene, concediamogli ora, a distanza di più di una trentina d’anni, almeno una attenuante. Il cognome di quel pittore avrebbe tratto in inganno chiunque perché nessuno avrebbe mai immaginato che dietro quel Teodoro D’Errico si nascondesse, in realtà, un grande artista. Un grande artista né potentino, né lucano,né meridionale e neppure italiano. Un grande artista il cui vero nome è Dirck Hendricksz, nato nel 1544 ad Amsterdam, Olanda, e morto, sempre nella capitale olandese, nel 1618. Quindi, un pittore fiammingo. Accidenti, sembra incredibile. Un pittore fiammingo a Potenza? Già, proprio così; un pittore fiammingo proprio a Potenza e neppure uno qualsiasi, come sto per dire. Dirck Hendricksz Centen ha subito postumamente, per gli stessi quattrocento anni, la stessa sorte toccata al suo quadro potentino. Solo recentemente, per merito soprattutto di tre critici e studiosi d’arte di valore come Previtali, De Castris e la Vargas, che hanno continuato a chiamarlo Teodoro D’Errico (era solo il suo pseudonimo italiano), il pittore fiammingo Hendricksz è stato rivalutato e riconsiderato. Il pittore di Amsterdam decise di andarsene dal suo paese in seguito alla strage di San Bartolomeo. Era un ugonotto. Molto probabilmente la prima tappa fu Roma e poi si stabilì in modo permanente a Napoli, capitale del Vicereame spagnolo e dell’intero Mezzogiorno. Non fu il solo pittore fiammingo a fare quella scelta. In breve, Napoli divenne dopo Venezia e Roma il principale polo di irradiazione della pittura fiamminga in Italia. Il percorso pittorico di Dirck Hendricksz si svolse quasi interamente a Napoli tra l’ultimo quarto del 1500 e il primo decennio del 1600. La sua vena fiamminga fu mitigata dai canoni artistici imposti dalla Controriforma. A Napoli era già attiva una colonia di artisti olandesi e belgi, insomma fiamminghi, e Hendricksz/D’Errico dovette con ogni probabilità inserirsi in questo nutrito gruppo già a partire dai primi anni ’70 del 1500. Fu, a detta del critico e storico dell’arte De Castris, «il vero dominatore del panorama locale nell’ultimo quarto del secolo(del 1500 n.n.) per doti imprenditoriali e matura pienezza di risultati nella confezione di una pittura tenera e piacevolmente colorita, capace di sposare i temi fantastici di un vero e proprio ‘manierismo internazionale’ con le esigenze devozionali”. La presenza a Napoli di Dirck Hendricksz, conosciuto anche col pseudonimo italianizzato di Teodoro D’Errico, è documentata a Napoli dal 1574 al 1608; egli fu il principale esponente della colonia fiamminga in città, l’ideatore di una pittura tenera dal ricco impasto cromatico, uno dei principali protagonisti della vita pittorica del Regno per quarant’anni e fu anche uno dei pittori fiamminghi che più influenzò la cultura pittorica dell’Italia meridionale. In altre parole, un artista di prima grandezza in una fase storica in cui Caravaggio non era ancora arrivato a Napoli (arrivò nel 1606). Dopo l’arrivo del Caravaggio si chiuderà la fase del manierismo, che aveva occupato tutta la scena del 1500, e si aprirà la grande scena del Barocco napoletano. La maniera dolce e pastosa identificata dal Vasari quale cifra caratteristica della pittura degli Zuccari (Federico e Taddeo) venne felicemente recepita da Hendricksz  che la innestò sulla lezione già appresa dai suoi precedenti maestri olandesi Aertsen e Floris. Anche il Barocci esercitò una certa influenza sul pittore di Amsterdam. In una nota di pagamento si giustificava la commissione descrivendo le caratteristiche del Fiammingo che adopera  ‘de colori fini et vivaci come li colori de fiandra’. Passo ora  al quadro potentino di Dirck Hendricksz. Secondo Rossella Villani, bisogna intanto specificare che “diverse sono le tele presenti in Basilicata eseguite, sul finire dal Cinquecento, da artisti fiamminghi attivi a Napoli e numerose le commissioni di opere ad artisti fiamminghi, di cui purtroppo non resta traccia”. In primo luogo, l’importanza della ‘Madonna col Bambino tra i Santi Pietro e Paolo’ di Potenza sta già nel fatto puro e semplice che di questo grande artista fiammingo, il più grande tra i fiamminghi del Regno di Napoli, rimangono oggi in Basilicata solo tre opere; la Madonna della Chiesa di San Michele a Potenza, la ‘Madonna con Bambino e San Francesco’ a Pomarico (in provincia di Matera) e la ‘Resurrezione nella Badia’ di Banzi, un’opera giovanile attribuita a Hendricksz/D’Errico dal critico Leone De Castris nel 1988. La differenza tra il quadro di Potenza e quello di Pomarico è che a Pomarico la realizzazione della Madonna col Bambino è “sicuramente più sfumata ed evanescente rispetto a quello di Potenza” (R.Villani), e rispetto a quella di Banzi c’è il fatto che quella di Banzi  è, appunto, un’opera giovanile, mentre quella di Potenza vede Hendricksz nella sua fase artistica più matura, maggiormente ispirata, e, quindi, il quadro della Chiesa di San Michele a Potenza è ritenuto di “notevole importanza per sensibilità artistica e cromatica” (P. Settembrino). Lascio la parola a Rossella Villani: “L’opera potentina presenta, in alto, la Madonna circondata da un nugolo di angeli turbinanti attorno ad un nucleo luminoso, sovrastante i due Santi che si ergono sullo sfondo di un fosco paesaggio roccioso. San Pietro e San Paolo, posti in simmetrico contrappasso, mettono chiaramente in risalto gli attributi iconografici che li connotano, le chiavi e il libro aperto, e paiono discutere animatamente tra loro. Tutta la composizione è caratterizzata dal movimento: le vesti vorticose e avvolgenti dei Santi e il fluente mantello azzurro della Vergine assecondano le pose danzanti e fluttuanti delle figure ed esaltano l’esasperato turbinio di cherubini alcuni dei quali, dalle testine appena abbozzate, sembrano nascere dalla sorgente luminosa. Gli atteggiamenti e le pose dei Santi mostrano quel non so che di teatrale, laddove i volti hanno un sapore convenzionale, in linea con le tendenze manieristiche contro riformate”. Ma, a quattrocento anni dalla sua morte, la fama di Hendricksz si avvia a diventare, grazie a Vittorio Sgarbi, addirittura un successo mediatico di massa. L’olandese si impegnò a realizzare con Ascanio Di Capua una Assunzione della Vergine con apostoli e angeli per la Chiesa di un piccolissimo paese molisano che si chiama Montorio dei Frentani. Anche quella si sta rivelando una grande scoperta artistica al punto che recentemente Sgarbi si è recato in Molise per una lectio magistralis e per l’occasione il Quotidiano del Molise, annunciando l’intenzione del notissimo critico ferrarese di portare il quadro di Dirck Hendricksz (D’Errico) all’Expo di Milano, scriveva che l’Editrice Vaticana considera la tela molisana come la più bella realizzazione di arte sacra d’Europa.

Per finire, dunque, Potenza può contare sicuramente, d’ora in poi, su un’altra opera d’arte autentica.

PINO A. QUARTANA

 

Lascia un commento