POTENZA 1930: I TURISTI DI IERI

Reportage di Antonio Baldini, inviato del quotidiano ‘Il Corriere della Sera’, pubblicato sul più grande quotidiano nazionale il 1° maggio del 1930 col titolo “La Pretoria”, ripubblicato nel volume ‘Basilicata. Note di viaggio’ (edizione fuori commercio a cura dell’Airc Potenza nel 1998) e riproposto da ‘Potentia Review’.

 

Tre ore, dice la guida, sono sufficienti alla visita della città. Certe cose magari si fanno ma non si dicono. Come si fa a dire di una città che ha messo tanti secoli a farsi che bastano tre ore per conoscerla? Per sapere che c’è non c’è neanche bisogno di scendere dal treno. Continuando dalla stazione di Potenza Superiore per quella di Potenza Inferiore uno se la vede con tutti i comodi, lassù in alto. La città, messa tutta per lungo sopra un monte, è circondata da un vallo profondo più di cento metri che la ferrovia percorre per due terzi, quanto basta cioè per vedere  la città dal rovescio e dal dritto; da settentrione nel suo aspetto più antico e più ripido, più rustico e più grigio, e da mezzogiorno col suo viso nuovo, con le sue case fiammanti distese a leggero semicerchio che cominciano a venire incontro alla valle. Quella è Potenza; non vi basta? Volete sapere che c’è lassù da vedere? Non c’è che una strada con delle case di qua e di là che corre lungo tutta la cima del monte. Non avete mai visto una strada? Che se poi voleste mettere proprio in pace la vostra coscienza di turisti, c’è da dare, senza bisogno d’affrontar la salita, un’occhiata al Paleolitico. A due passi dalla Stazione nord c’è il Museo Provinciale: statuette, iscrizioni, monete, ceramiche, armi del Paleolitico e del Neolitico e varie suppellettili dell’età del Bronzo. Un’oretta è più che sufficiente. Facciamo anche quaranta minuti. Trenta. Venticinque. Non dico venticinque, non dico venti, non dico diciannove, non dico diciotto…o signori io vi do neolitico e paleolitico per la vile moneta di un quarto d’ora.

                                                                                        * * *

Tre ore sono meno che niente. C’è a Potenza un tempietto a San Gerardo, patrono della città, dove il santo vescovo alza una mano a benedire e far vedere tre dita,e il popolo dice che chi viene a Potenza a far negozio o carriera non se la caverà con meno di tre anni. Tre ore sono poche, tre anni forse sono molti. Per far contento San Gerardo io ci sono stato tre giorni. E’ la media buona per conoscere una città dove non ci sia quasi niente da vedere. Con le città, come con gli individui, per dire di conoscerli bene bisogna anche essercisi un pochino annoiati insieme, averci saggiato il limite della propria resistenza. Ci sono città da tre, sei, nove mesi, e città da tre, sei, nove anni. Non ci sono amicizie di un giorno, ma di tre giorni ne ho conosciute. E ci sono poi città e amicizia a vita, ma non più che per una vita. E sono per lo più città dove si nasce e l’amicizia dove si rinasce. Ma qui si sdrucciola nella metafisica e io volevo dire solo una cosa: che mi sono subito trovato così bene e sentito così di casa andando su e giù pel corso di Potenza, denominata Strada Pretoria, che, non bastandomi l’animo di fare il forastiero, i primi due giorni non ho voluto conoscere altro della città. Ero come uno che avesse trovato finalmente la scarpa per il suo piede dall’albergo mi sono trovato a passeggiare con gli altri potentini come se non avessi fatto altro in vita mia. Era già scuro e il passeggio era nel suo splendore, a getto continuo, e nutrito, come di gente che seguitasse a uscire senza posa da qualche teatro o cinematografo, un vero passeggio animato e tranquillo quale non è più dato trovarne che in provincia, e di rado. Sul principio m’ha colpito una intimità quasi veneziana, che mi sono spiegato solo più tardi quando mi sono accorto che per la Pretoria non passano carrozze; e non ci passano per la ragione che in certi punti la strada si fa così stretta che non ci sarebbe spazio per l’incontro di due veicoli quali si fossero. Una bella e larga lastricatura dà confidenza al passo. I negozi si succedono uno all’altro e son tutti piccoletti e non hanno quell’aria di importanza che sfoderano in città. Invitano ad entrare e a mettersi a sedere, magari a far due chiacchiere. I negozi che più spesseggiano sono le pasticcerie e le sale da barba. Sotto l’arco dei portoni ci sono i lustrascarpe che ti chiamano senza petulanza e con l’aria di farti gli onori di casa. In certi punti la strada sarà larga tre metri e nei punti di maggiore slargo non passa i cinque, e naturalmente è senza marciapiedi; si prolunga naturalmente negli interni. Le botteghe hanno il soffitto basso, e i terrazzini dei primi piani sono ad un’altezza familiare e sembrano portare nella strada un po’ dell’intimità della casa, spesso fioriti e con gente affacciata, specialmente ragazze. Far l’amore con una ragazza affacciata ad uno di questi balconcini deve essere cosa incantevole. Ne ho visto più d’una inginocchiata sopra una seggiola, probabilmente per non scoprire le gambe, ma quell’atto le fa come più bambine e insieme ringiovanisce chi cammina con gli occhi in sù. Quel fitto di negozi fa luce e festa con le sue vetrine e illumina di sotto in su le ragazze al balcone, come le attrici di un teatrino. A spasso di signore se ne vedono poche, o perché han da fare in casa o perché è l’uso; abbondano le ragazzette col cappellino che vanno sempre per due o per tre, ma più per tre che per due, e con passo da bersagliere. E capita quasi sempre di vedere, subito dietro le tre, tre giovanottini di primo pelo che parlano a voce alta e fanno gli spiritosi. La via stretta e il passaggio fitto non consentono l’inseguimento e la corte ad una certa distanza: e questo andar tre per tre dei coscritti dell’amore e della galanteria presta una gran giovanilità alla strada. Tieni presente che non c’è altra strada e che la città di Potenza è tutta qui; il resto è contorno borghigiano. In compenso, la Pretoria è lunghissima e il più bello è che non si può avere una idea della sua lunghezza altro che passeggiandola tutta, perché pure andando a dritta, non è propriamente rettilinea, ma ha quel vago lieve spostamento di facciate e di cantoni che in qualunque punto tu ti guardi avanti e indietro hai la vista sempre chiusa, sei preso dentro il corso, ma quanto piacevolmente!

Tanto più che le case sono quasi tutte di un piano o due e non c’è pericolo che ti portino via l’aria. Anche la poca altezza delle case conferisce grandemente alla familiarità della Pretoria e quelle poche con tre piani hanno subito l’aria antipatica di voler guardare sopra i tetti delle altre. Il vantaggio d’una Via Pretoria non rettilinea è che non lascia il vento infilarsi, e il vento quassù non scherza. Bella cosa i grandi rettifili, per sentirsi poi portare via dal vento e mangiare dalla polvere! Una strada tutta dritta non è buona che quando porta alla stazione e fa vedere l’ora di lontano. Nel suo percorso la Pretoria incontra due piazze, quella del Municipio, detta Sedile, e quella della Prefettura, intitolata a Mario Pagano. Quella del Municipio è poco più che una strada trasversale aperta sullo sfondo dei monti verso mezzogiorno, ma quella della Prefettura s’amplia e conclude in un gran quadro con bei palazzi, un Teatro che si chiama Stabile per il fatto che è intitolato al nome di Francesco Stabile ed è liscia come una sala di pattinaggio. Il caffè principale è sull’angolo della Via Pretoria. Questo è il foro della città. E se la Pretoria è le Mercerie, questa, specialmente nella bella stagione coi tavolini fuori, è la Piazza San Marco di Potenza. Nel tratto fra le due piazze il passeggio è più intenso e di carattere più particolarmente cittadino, e si protrae, messe a letto le ragazze, fino a tarda ora di notte. Alle due estremità non dirò che il corso desinit in piscem, ma certo, decade un po’ e la stessa strettezza piglia allora color di vicolo, e si incontrano carriole, contadine in costume, ciucciarielli con due ceste, ragazzi che giocano a piastrelle e donne che attraversano con in capo una tavola di pagnotte sfornate, ma così lunga che basta a chiudere la strada. E mentre nel gran tratto di mezzo la Pretoria è tutta piana, avvicinandosi a queste estremità piega in leggero pendio. Dove il corso finisce, finisce il monte sul quale la città è costruita. Non resta che tornare indietro. Non per niente questo corso è stato battezzato dai potentini: corso forzoso e inconvertibile. Potenza è una città dove è impossibile far le viste di non essersi incontrati e riconosciuti, e non c’è cosa che qui più si consumi, per il gran levare e mettere, del cappello. Se uno ha qualche antipatia è meglio che l’ammazzi subito. Sarà che io ho visto Potenza nei giorni di Pasqua, ma tutti avevano un’aria contenta: gli uomini uscivano dalle pasticcerie col pacchetto di dolci, le ragazze andavano in visita con dei mazzi di fiori, il prete andava a benedire le case con una mantellina rossa bordata d’ermellino sulle spalle, tutti si facevano la barba, si davano delle grandi strette di mano e parevano soddisfattissimi di stare al mondo. La sera che ci sono arrivato passava una gran processione e chi sa che non sia stata quella a purificare l’aria di ogni residuo di cattiveria. Non ho mai visto strada più fatta per la misura a una processione, e fedeli meglio incolonnati. Procedevano i ragazzini dietro un sonator di troccolo, poi venivano le ragazzine, poi la Croce, poi la statua della Vergine illuminata a candela e poi due interminabili file di donne che cantavano in coro senza che nessuna di loro alzasse troppo la voce. E molte avevano i figliuolini in braccio che guardavano fuori dallo scialle tutti meravigliati. Insomma ho trovato una strada dove ho sentito la possibilità di diventare di punto in bianco amico di tutti. Bisognerà che ogni tanto ci ritorni. E sarà anche un felice effetto dell’aria montana. Potenza è il capoluogo più alto dell’Italia continentale. Non c’è che Enna in Sicilia che la batta d’un centinaio di metri. Siamo a quota 823. Quasi tutte le laterali della Pretoria sono vie cieche o fatte orbe da una voltata. Pochissime sono quelle che danno sulla vista della campagna e dei monti circostanti, e tutte dalla parte di mezzogiorno, la quale guarda ii monti più spogli di vegetazione, più vuoti di case e sui quali più a lungo resta la neve. Una grande malinconia è affacciarsi da quella parte. E di notte un buio fondo come se il mondo da quella parte non continuasse. E questa forse non è l’ultima delle ragioni che fanno la vita e l’intimità della Pretoria così unica e cara. Quella inamena solitudine, quella vista così nera e sperduta ci fanno sentire più vivamente, più accoratamente, il gusto di ritrovarsi in compagnia. Bah! In fondo in fondo anche questo prossimaccio ha del buono.

(Nella foto: La Stazione di Potenza Inferiore negli anni ’30)

Lascia un commento