UNO SCONOSCIUTO GIACIMENTO D’ARTE CONTEMPORANEA A POTENZA; ALBERT FRISCIA

Città veramente strana è Potenza. E’, forse, l’unica definizione sulla quale possono concordare sia i suoi critici o detrattori, sia coloro che la apprezzano e la amano, sia i potentini che i non potentini. Una delle stranezze di Potenza è che certe notizie veramente importanti rimangono nascoste e segrete per tanti e tanti anni. Tale era il caso, ad esempio, della importante tela conservata (in pessime condizioni, purtroppo, bisogna sottolinearlo) nella Chiesa di Santa Maria del Sepolcro a firma Giovanni Ricca. Il caso lo abbiamo sollevato e pubblicizzato noi di ‘Potentia Review’ solo quindici giorni fa nello stupore generale. Tali sono state le reazioni che abbiamo registrato; di generale stupore. Come se questa città, afflitta da decenni da stupidi e infondati luoghi comuni negativi, si fosse ormai completamente assuefatta in massa all’idea di essere solo una città di uffici ed un bancomat per la classe politica e burocratica. Nelle reazioni che ho personalmente osservato nei due giorni che ho trascorso in città (23 e 24 maggio scorso) è come se in faccia ai miei interlocutori (e sto parlando di potentini) io abbia potuto leggere una domanda ingenua ed inespressa  e cioè “Ma possibile che stai parlando proprio di Potenza? Ma come? Potenza? Una città che non può essere nemmeno lontanamente associata all’arte ed alla bellezza?”. Purtroppo, un numero troppo alto di potentini, per non dire di lucani o di italiani, versa in queste condizioni. L’incredulità manifestata sulla valenza artistica, culturale, storica, turistica della propria città non saprei dire se è più irritante o disarmante. Però, parlando personalmente con diverse tra le persone più qualificate della città ho notato l’emergere dei primi impercettibili dubbi sui propri blocchi mentali a questo proposito. Il quadro del Ricca, a chi ha letto l’articolo e a coloro ai quali ho raccontato personalmente la storia, qualche prima breccia l’ha aperta. Un primo, magari lieve, shock positivo l’ha determinato. Ebbene, allora ho deciso di andare avanti su questa strada ed agli scettici o ai dubbiosi (o peggio) sulla valenza di Potenza anche come città d’arte, di cultura e turistica ne darò adesso un altro. Ad alcuni di questi miei qualificati (pensate se avessi parlato solo con cittadini qualsiasi) interlocutori ho fatto un nome. Mi sono accorto che quel nome non diceva assolutamente nulla a tutti loro. Non ne ho trovato uno solo che avesse già sentito quel nome. Ed allora quel nome lo faccio in pubblico; Albert Friscia, nato nel 1911 a New York e morto a Roma nel 1989.  Friscia, chi è costui, avrebbe detto il Manzoni? Intanto dico che Albert Friscia non è un Carneade;  è stato un artista abbastanza importante dell’astrattismo e della Pop Art statunitense/americana (ma, forse, non solo di queste due correnti dell’arte contemporanea), il grande movimento artistico che ha dominato la scena newyorkese per almeno due decenni (newyorkese e mondiale), il movimento di arte contemporanea associato soprattutto a due nomi; Andy Warhol e Roy Lichtenstein, ma senza dimenticare Robert Rauschenberg (per quanto quest’ultimo non venga mai associato ufficialmente alla Pop Art). Esiste un filo diretto tra Friscia e Rauschenberg e lo si può individuare nel fatto che tutti e due questi grandi artisti statunitensi hanno avuto lo stesso Maestro e si siano formati alla stessa scuola, la scuola di Joseph Albers, fuggito nel 1933 dalla Germania nazista negli USA, come tanti altri intellettuali ed artisti tedeschi. La scuola, nata nel 1933 e conclusasi nel 1956, fu il Black Mountain College nel North Carolina.

Vivendo al Black Mountain College – scrive Bruno Mantura,  il massimo esperto italiano di Friscia in un suo libro dedicato all’artista newyorkese – a fian­co del suo insegnante, dal forte e non facile carattere, Friscia produce delicati e in parte innovativi lavori di pittura come Music Studio in the Woods of B.M.C. e Landscape of  B.M.C., una veduta del Lago Eden, e View from my Study in B.M.C. tutti del 1947-1948… quello con Albers fu per Friscia un incontro importante… tuttavia il ra­zionalismo di Albers era ben lontano dall’arte di Friscia e da quanto egli aveva fino ad allora prodotto, perché troppo radicale e sostanzialmente asciutto. Da quanto ci è dato sapere Albers aborriva la pittura politica e religiosa e non aveva interesse alcuno per i grandi ar­tisti messicani come Orotzco o Siqueiros. È sintomatico della curiosità intellettuale di Friscia che egli onestamente doveva considerare essenziale per la sua formazione artistica, la decisione di recarsi nel 1948 in Messico, nel Guanajuato, a San Miguel de Allende per seguirne i corsi e lavorare con Siqueiros nel­la Esquela Universitaria de Bellas Artes. A San Miguel, oltre all’insegnamento, Siqueiros aveva intrapreso, in­sieme ai suoi allievi, la decorazione murale di una sa­la di sette metri per diciassette, un monumento pittori­co per il generale Ignacio Allende, lavoro rimasto in­compiuto per il dissidio del pittore con gli altri docenti”.

Mi fermo un attimo qui perché suppongo che a questo punto il lettore (potentino) si stia ponendo la seguente domanda; va bene, ma che c’entra un articolo su questo artista in una rivista culturale che parla di Potenza? Chiedo al lettore solo un attimo di pazienza. Vado avanti nell’illustrare l’importanza di questo artista. Durante il soggiorno messicano e la consuetudine con Siqueiros, Friscia realizzerà diversi dipinti fuori dalle sue abitudini stilistiche. Alcuni sono ispirati al folklore messicano: Easter Procession e Night Wind – San Miguel de Allende, composizioni turbi­nose e dai colori accesi, le definisce Mantura.

Sempre nel 1948 si acuisce il suo interesse per le defor­mazioni di origine cubista, vedi Aztec Emperor of Past Glory e Memory of Mexico (girl). Deformazioni ar­ricchite dall’adozione in senso strutturale di elementi del codice decorativo azteco. All’inizio dell’autunno 1949 Friscia è a Parigi per studiare con André Masson. Nell’or­dine meticoloso delle sue carte sono stati ritrovati documenti relativi alla iscrizione ai corsi d’Acca­demia della Grande Chaumière, che seguirà fino al set­tembre 1950. Friscia lavora ed espone assieme ad ar­tisti francesi ed americani. Dalla fine dì quell’anno si trasferisce in Italia per risiedere poi stabilmente a Ro­ma.

A Roma “la ricerca di Friscia si svolge sostanzialmente nel cam­po di un adattamento del figurativo alle esigenze lin­guistiche della sperimentazione d’avanguardia, tenen­dosi per altro lontano dall’adottare un linguaggio total­mente astratto”, scrive Mantura.

 “Ci sono giovani che entrano corag­giosamente nei problemi più vivi dell’arte contempora­nea, e altri che con meno aggressività li intuiscono e li penetrano”. Così scriveva di lui, collocandolo nel se­condo gruppo, Angelo Savelli, che presentò nel 1951 la prima mostra romana dell’artista americano presso la Galleria Chiurazzi. Tra gli anni ’50 e gli anni ’60 Friscia sperimenta quella che verrà definita la sua arte cinetica e la ‘fluidità della comunicazione’, due piste di ricerca artistica che definiscono e caratterizzano questo importante pittore e scultore contemporaneo statunitense. Ricordo ai lettori che Friscia viene inserito nell’elenco dei duecento più importanti artisti della storia statunitense (o americana). Si può verificare anche su Wikipedia alla voce ‘Pittori statunitensi’. Ma Albert Friscia merita un posto di rilievo nell’arte contemporanea americana ed italiana anche perché non fu solo un pittore importante, ma uno scultore altrettanto importante. E’ stato l’autore del  Portone e del  Cancello in bronzo  della Holy Name Cathedral di Chicago, opera del 1969, della scultura in bronzo “Fluidità della Comunicazione” (Ministero delle Poste  a Roma Eur – 1978) e dell’Altare maggiore in bronzo nell’Abside del Bernini nella Basilica Vaticana, opera del 1980.

“Ma la singolarità del suo lavo­ro – scrive Mantura –  è probabilmente da cercare nell’apertura del blocco scultoreo alla pressione dello spazio esterno che in es­so si infiltra, creando anfratti pieni d’ombre, vuoti, a vol­te organizzati secondo una coniugazione o una cre­scita naturale”.

Dopo la collettiva presentata alla Galleria L’Obelisco nel 1968, Friscia brevetta il suo dispositivo a dischi polariz­zati girevoli per proiezioni a colori di composizioni artistiche. Corrado Maltese nel dicembre del 1971 pubbli­ca su “AL2” un breve ma intenso saggio sull’artista. Il noto critico d’arte apprezzò il lavoro cinetico-luminoso di Friscia invitandolo anche a tenere seminari all’Università della Sapienza di Roma. Sono anni in cui Friscia si dedica con sempre più profon­do interesse alla sua arte cinetico-luminosa. Prepara con le sue stesse mani quei materiali (polaroid) da com­porre all’interno dei vetrini, quei materiali che, illumi­nati, possono trasformarsi camaleonticamente in una sorgente di colori. È una sorta di nuova stagione di vi­vace attività, che sfocia in un maggiore impegno, an­che didattico, e con la sua partecipazione, tramite Mal­tese, all’AST (verrà nominato vicepresidente di quel­l’associazione nel 1982). Di Friscia si può dire senz’altro che è  “passato attraverso il fuoco delle sperimentazioni di cui avvampa il mondo dell’arte del 1900”. (Mantura)

Spero che, a questo punto, il lettore (potentino) non abbia già smesso la lettura perché adesso vengo al motivo per cui ho parlato di questo grande artista americano. Un colpo di scena attende il lettore ed esso consiste nel fatto, incredibile, che la gran parte della produzione artistica di Albert Friscia è conservata a Potenza in una esposizione permanente nelle sale della Biblioteca Nazionale di Via del Gallitello. Si badi bene; non è una esposizione normale, una esposizione come tutte le altre. I quadri e le sculture di Friscia stanno a Potenza in modo stabile. A Potenza c’è, si può ben dire, il suo Museo. Le tele e le opere di Friscia stanno a Potenza e staranno sempre a Potenza. Arricchiscono in modo notevole il patrimonio artistico della capitale lucana. Come è stato possibile tutto ciò? La storia, finora, la conoscevano sì e no pochi intimi, oltre agli addetti alla Biblioteca Nazionale. Per quegli stranissimi meccanismi della vita sociale potentina di cui parlavo in apertura, più del 99% dei potentini fino a questo momento non ne sa, o non ne sapeva, ancora nulla (ma dopo questo articolo non sarà più così). Una cosa incredibile, ancora più incredibile del fatto che quasi tutta la produzione di questo grande dell’arte contemporanea americana ed italiana (Friscia, oltre al fatto di aver vissuto tanto tempo in Italia, era un italo-americano; il padre era di origine siciliana) si trovi stabilmente a Potenza già da alcuni anni (anche se nessuno lo sa o quasi) ed a Potenza rimarrà per sempre. Il miracolo si chiama donazione. Tutto o quasi il lascito di Albert Friscia si trova a Potenza perché fu donato alla città dalla sua vedova, la signora Lidia Di Bello, potentina doc. Quando qualche anno fa la signora Lidia Di Bello Friscia venne a mancare, il Direttore della Biblioteca Nazionale di Potenza, Franco Sabia, scrisse un accorato comunicato diramato il 14 dicembre 2013:

La scelta della sig.ra Di Bello, potentina di nascita e romana di adozione, di donare alla sua città e alla Basilicata, le opere prestigiose di Albert Friscia, sono la testimonianza concreta e nobile di amore e rispetto della propria comunità. Una donazione vera e piena, senza richiedere nulla in cambio. Ci mancherà  la sua generosità  e la sua sensibilità culturale per le istituzioni bibliotecarie – (è stata bibliotecaria appassionata presso la prestigiosa Biblioteca Alessandrina dell’Università romana La Sapienza) –  che terremo a nostro esempio di vita e a modello di cittadinanza attiva. L’imponente collezione di quest’artista americano, di origini siciliane, (96 oli, 65 sculture in bronzo e 2 in marmo, 10 opere cinetiche e 580 tra opere grafiche e disegni), arricchisce formalmente, dal 25 gennaio del 2001 (giorno dell’inaugurazione dell’esposizione permanente presente negli ambienti della Biblioteca Nazionale), il vasto patrimonio artistico-culturale della Basilicata”.

Ma al di fuori del ‘suo’ Museo o della sua Galleria permanente della Biblioteca Nazionale, ed a parte le grandi opere che Friscia ha lasciato a Roma e negli USA, esiste a Potenza un’altra opera del maestro newyorkese; è opera sua, infatti, il sarcofago bronzeo, che conserva i resti di Monsignor Bertazzoni, nella cattedrale di San Gerardo.

PINO A. QUARTANA

Nella illustrazione; Albert Friscia, Self Portrait (Autoritratto), 1947

Lascia un commento