NOTE SULLE ORIGINI DI POTENZA

Ripubblichiamo nella sezione REPRINT un breve ed importante saggio sulle origini di Potenza, sulla sua storia romana e preromana e suoi rapporti fra Potenza e le due aree di Rossano e di Serra di Vaglio (ovviamente si chiamano di Vaglio oggi, ma in quei tempi remoti non si chiamavano così perché Vaglio non esisteva ancora). Esisteva Potentia cioè l’antica Potenza e questo articolo indaga sui rapporti fra le due realtà. Abbiamo ripubblicato questo studio per mere finalità scientifiche come sono quelle della nostra rivista e non certo per scopi commerciali, quindi riteniamo di aver dato un contributo alla conoscenza, visto anche che, di solito studi di questo tipo, rimangono sconosciuti data la loro circolazione in una ristrettissima cerchia di specialisti. 

 

Le origini di Potentia (Potenza) sono ignote, perché la documentazione letteraria si riduce a pochissimi passi, di cui uno solo di un certo rilievo (nel Liber coloniarum), e la documentazione archeologica relativa al sito dove sorge la città odierna è finora assai scarsa. In effetti, per la conoscenza di Potenza in età romana è fondamentale la documentazione epigrafica, raccolta a partire dal XVII secolo e resa nota dal 1700: questa tuttavia risale quasi 1 tutta all’età imperiale. Comunque, sembra evidente che la nascita di Potentia debba essere messa in stretta relazione con il processo di romanizzazione della Lucania, che, avviatosi all’indomani della guerra contro Pirro (272 a.C.)2, ebbe una forte accelerazione al termine della guerra annibalica, quando gran parte del territorio lucano risultò spopolato e passò sotto il controllo romano attraverso confische e insediamenti di cives Romani 3. Il nome stesso di Potentia, del resto, è ritenuto romano già dal Mommsen 4, e la sua prima menzione – indiretta – è associata ad una praefectura romana 5. Quale sia il rapporto tra la Potentia romana e la realtà lucana precedente e contemporanea alla sua nascita non è facile precisarlo. Tuttavia, è plausibile ritenere che le premesse indigene di Potentia vadano ricercate all’interno dello stesso futuro territorio potentino, nel vicino insediamento di Serra di Vaglio 6, che dominava il percorso Basento-Sele e la via verso Monte Sannace/Gioia del Colle 7 e che fin dall’età arcaica 8 aveva avviato un notevole sviluppo, che l’avrebbe portato a un’evoluzione in senso ‘urbano’ 9. Ma nella prima metà del III sec. a.C. l’abitato di Serra di Vaglio entrò in crisi e, come tanti altri centri ‘urbani’ della Lucania 10, venne abbandonato 11. Anche se in molti casi si registrano tracce di violenza e distruzione 12, non sono del tutto chiare le cause storiche che nel corso del III secolo portarono alla scomparsa dei centri lucani 13, e, com’è stato giustamente osservato, la guerra annibalica, alla fine dello stesso secolo, dovette costituire semplicemente il ‘colpo di grazia’ 14 per una realtà indigena già in declino. È comunque evidente che la guerra contro Pirro e la penetrazione romana nella regione, con il controllo anche della fascia costiera ionica, dove Taranto e Metaponto erano state costrette ad entrare nell’alleanza romana 15 (e ricevere, nel caso di Metaponto, dei presidii) 16, dovettero produrre una crisi di gran parte degli abitati indigeni. Tuttavia, dal punto di vista sociale e dell’identità etnica e culturale, il ‘vuoto’ lasciato dalla scomparsa dei centri urbani fu in parte colmato dai santuari extraurbani, che, sorti intorno alla metà del IV sec. a.C., in alcuni casi proseguirono la loro vita fino al I sec. d.C. 17, divenendo punto di riferimento e di aggregazione per le popolazioni del territorio. Tra questi luoghi di culto il più importante è indubbiamente il santuario della Mefite Utiana di Macchia di Rossano, assai vicino all’abitato di Serra di Vaglio, e non molto distante dal sito del futuro centro urbano di Potentia. La continuità di vita del santuario di Macchia di Rossano, dalla seconda metà del IV sec. a.C. alla prima metà del I sec. d.C. 18, e il sicuro legame in età imperiale tra il culto della Mefite Utiana e la res publica Potentinorum 19, pone a mio avviso degli interrogativi sul rapporto tra l’importante centro religioso e il ruolo che, a partire da un’epoca non facilmente definibile, dovette avere Potentia nel territorio precedentemente dominato dall’insediamento di Serra di Vaglio. Com’è noto, si ritiene che il santuario della Mefite, che ha restituito una gran quantità di materiale votivo e di dediche in lingua epicoria – sia in alfabeto greco che in latino – e, nelle ultime fasi della sua vita, anche in lingua latina 20, sia stato il centro religioso di un ipotetico ‘cantone’ degli Utiani 21 o, meglio, della ipotetica touta degli Utiani 22 (l’etnico è ricavato da una delle epiclesi della dea)23. D’altro canto, c’è chi ha pensato che il luogo di culto fosse un santuario ‘confederato’ 24 (cioè, più esattamente, ‘confederale’) o che svolgesse funzioni ‘federali’ e fosse il punto di riferimento politico-religioso per l’intero ethnos dei Lucani 25. Si deve osservare però che la definizione ‘federale’ è piuttosto ambigua, perché nel campo politico-costituzionale il termine viene spesso adoperato sia in riferimento a veri e propri ‘stati federali’ che a ‘confederazioni di stati’ o altro tipo di aggregazione interstatale (come le alleanze militari)26. È ben noto, d’altro canto, che la definizione ‘federale’, tratta dalla terminologia politica, è anche utilizzata in riferimento a luoghi di culto dell’Italia antica, soprattutto per quanto riguarda alcuni centri religiosi – documentati prevalentemente dalla tradizione letteraria – di popoli organizzati politicamente, in alcune fasi della loro storia, in ‘confederazione’, come il fanum Voltumnae per gli Etruschi o il santuario di Diana Aricina per i Latini 27; controverso è il caso di Pietrabbondante, nel Sannio pentro, per cui non possediamo documentazione letteraria, che di volta in volta è stato identificato come santuario ‘federale’ o ‘nazionale’ 28. E santuari ‘federali’ sono attestati dalle fonti letterarie anche in Magna Grecia, come quello di Zeus Homarios, che svolgeva le funzioni di koinòn hierón e luogo di riunione per le città di Crotone, Sibari e Caulonia 29, le quali si erano date una costituzione (propriamente) federale modellata sulla politeía degli Achei 30, o il santuario di Hera Lacinia a Crotone, punto di riferimento delle città confederate (symmachia) della lega italiota 31. Per quanto riguarda il santuario di Macchia di Rossano, mi sembra che il termine ‘federale’ (o ‘confederale’) venga spesso utilizzato per indicare – in sostanza – che il santuario non era legato ad un centro urbano in particolare 32 e per sottolinearne la dimensione, diremmo, ‘sovraregionale’ per la ricchezza e la vasta provenienza dei votivi 33. Tuttavia, si deve osservare, col Lejeune, che le magistrature menzionate nelle epigrafi osco-greche del II/I sec. a.C. (questura e censura)34 sono, di norma, magistrature ‘cittadine’, non magistrature federali. La loro origine romana 35 e la stessa formula senathiı tanginod (= de senatus sententia), anch’essa ricorrente nelle iscrizioni di Macchia di Rossano, rivelano inoltre la forte influenza della presenza romana in questa parte della Lucania 36. Del resto, anche nella non lontana Atina è attestato un senato locale con la formula senathiı tanginod (Rix Lu 2)37, e a Bantia, probabilmente agli inizi del I sec. a.C., una legge in lingua osca, ma redatta in alfabeto latino, rivela la presenza nella comunità lucana di magistrati quali quaestores, tribuni plebis, triumviri, praefecti, praetores e censores, che sono stati mutuati, molto probabilmente, dalla costituzione della vicina colonia latina di Venusia 38.  Dunque, a mio avviso, sembra più probabile che il santuario della Mefite, almeno nel corso del II sec. a.C., se non già in precedenza, sia stato di pertinenza di una comunità locale 39: potrebbe trattarsi della ipotetica touta degli Utiani o di altro centro ancora sconosciuto, ma forse è legittimo chiedersi se la fase municipale di Potentia, certamente legata al santuario di Macchia di Rossano, come vedremo, non sia stata preceduta da una fase ‘lucana’, cui appartenevano i questori, il censore e il senato attestati dalle iscrizioni del santuario. Se così fosse, si potrebbe pensare, come pure è stato cautamente proposto 40, che la futura Potentia sia stata prima della guerra sociale una civitas foederata lucana, dunque legata a Roma da un trattato bilaterale, che la privava, di fatto, di autonomia nelle decisioni di politica internazionale, ma le lasciava una relativa libertà amministrativa, con una costituzione, magari, ispirata al modello romano. E il santuario di Macchia di Rossano, almeno in questa fase, sarebbe potuto rientrare nel territorio amministrato dal centro lucano che, forse, precedette Potentia. Comunque sia, la maggior parte degli studiosi è concorde nel collocare la nascita di Potentia nel corso del II sec. a.C. 41, in una regione sconvolta dalle vicende della guerra annibalica e che, per la sua mancata fedeltà a Roma, dovette probabilmente pagare il dazio di vaste confische territoriali. Infatti, gran parte della Lucania, ormai spopolata 42, dovette divenire ager publicus populi Romani 43, territorio demaniale romano che in gran parte era in mano agli occupatores: nel caso specifico, “gli occupatores delle terre pubbliche lucane (…) furono soprattutto ricchi pecuarii” 44, cioè allevatori, perché l’allevamento di bestiame e la pastorizia nei territori in parte spopolati dell’Italia meridionale erano considerati particolarmente redditizi. Il più delle volte gli occupatores erano esponenti di spicco delle stesse comunità alleate che avevano subito le confische 45. Questi, nel corso del tempo, approfittando del fatto che spesso i terreni non erano accatastati, avevano esteso oltre i limiti di legge la loro occupatio 46. I cippi graccani rinvenuti specialmente nella Lucania centro-occidentale (Atena Lucana, Sala Consilina, Polla, Sicignano degli Alburni e Auletta)47, rivelano l’esistenza della pratica dell’occupatio e testimoniano l’esigenza, nella seconda metà del II sec. a.C., da parte dei triumviri istituiti con la lex Sempronia agraria del 133 a.C. 48, di individuare e recuperare l’agro pubblico occupato illegalmente nel corso del secolo. Anche se nel territorio di Potenza finora non sono stati rinvenuti cippi graccani, tuttavia la menzione, per quanto controversa, di una praefectura Potentina 49 farebbe pensare alla presenza di cives Romani e alla creazione di ager publicus su territorio confiscato. Pertanto, il quadro storico sopra delineato dovrebbe costituire, a grandi linee, il contesto in cui si collocherebbe l’‘emergere’ della città di Potentia, che, come si è detto, alcuni studiosi ritengono una civitas foederata 50, mentre altri pensano a una colonia romana 51 o, persino, a una comunità dotata di civitas sine suffragio 52. L’unica notizia di un certo rilievo che le fonti letterarie ci hanno trasmesso su Potentia potrebbe riferirsi proprio al II sec. a.C. e, certamente, prospetta l’immagine di un ambiente fortemente romanizzato. Si tratta di un noto passo del cosiddetto Liber coloniarum 53, nel quale vengono elencate alcune praefecturae romane:

In provincia Lucania prefecture, iter populo non debetur.

Vulcentana, Pestana, Potentina, Atena set Consiline, Tegenensis, quadrate centuriae in iugera n. CC

Grumentina, limiti bus Graccanis quadratis in iugera n. CC decimanus in oriente, kardo  in meridiano.

Il passo del Liber coloniarum in cui si parla di una praefectura potentina ha destato molte perplessità tra gli studiosi, sia per quanto riguarda la cronologia, sia per quanto riguarda il significato del riferimento alla prefettura 55  .

Infatti, solo per Grumentum viene indicato un riferimento all’età graccana (limitibus Graccanis), peraltro contestato 56, mentre per le altre comunità non vi è alcuna indicazione cronologica precisa 57. Inoltre, a partire dal Beloch, si è osservato che delle città menzionate nessuna era propriamente “romana” prima della guerra sociale 58 e che, d’altro canto, le ex-prefetture incorporate nello stato romano presentano una costituzione duovirale, anziché quattuorvirale come nel nostro caso 59. Pertanto, la soluzione proposta dal Brunt 60, e più o meno accettata da tutti gli studiosi, è che Potentia e altre città ricordate dal Liber coloniarum siano state civitates foederatae (Paestum però era una colonia latina), in cui risiedeva il praefectus iure dicundo, il quale amministrava la giustizia per quei cittadini romani, che, tramite assegnazioni viritane 61, erano presenti sul territorio 62.

L’ipotesi, invece, che Potentia sia stata una colonia romana (di età graccana, secondo alcuni) si basa essenzialmente sulla sua denominazione, «che richiama centri coloniali come Faventia, Florentia, Valentia o la stessa Potentia Picena» 63, ma, in linea di massima, sembra da escludere una fase coloniaria del centro lucano che preceda quella municipale, perché nel mondo romano si assiste, di norma, all’evoluzione dei municipia in coloniae e non il contrario. Tuttavia, non c’è dubbio che il nome ‘romano’ della città faccia pensare a un intervento di Roma determinante nella costituzione della comunità civica di Potentia: è possibile, pertanto, che con l’istituzione del municipium di Potentia si sia avuto anche il mutamento del poleonimo 64 del centro lucano (federato?) che, verosimilmente, lo ha preceduto 65. D’altro canto, è possibile anche che il nome del municipium sia stato mutuato dalla praefectura, se questa, preesistente, fosse già stata denominata come Potentia 66. Purtroppo, la carenza di dati archeologici relativi al sito dell’attuale Comune di Potenza non consente di verificare se, al di là di tracce di frequentazione 67, davvero esistesse un insediamento lucano precedente l’istituzione del municipium. Inoltre, per la lacunosità della documentazione letteraria, nulla sappiamo sull’eventuale coinvolgimento degli abitanti del Potentino nella guerra sociale, perché, se è indubbio che i Lucani furono tra gli ethne in lotta contro Roma 68, le scarse notizie tramandateci si riferiscono solo alla Lucania meridionale, con l’impresa di Marco Lamponio presso Grumentum 69. Ignote sono anche la cronologia e le modalità dell’istituzione del municipium Potentinorum, la cui esistenza si ricava esclusivamente dalla documentazione epigrafica, databile, per lo più, in età imperiale 70. E se davvero, come scrive Alastair M. Small, «non vi sono testimonianze materiali di una occupazione romana [del sito di Potentia] precedente il periodo del [secondo] triumvirato» 71, si potrebbe persino pensare che la fase della praefectura – come altri casi in Italia 72 – sia durata piuttosto a lungo, ben oltre la guerra sociale e l’estensione della cittadinanza romana a tutti gli Italici. Comunque sia, in attesa di indagini archeologiche mirate, che chiariscano finalmente cronologia e modalità insediative relative al sito di Potenza, si può ragionevolmente ritenere che la città romana fosse ubicata proprio nell’area dell’attuale centro storico, piuttosto che nei pressi del Basento 73, perché gli autori del XIX secolo testimoniano «che gli edifizj dell’odierna città sono innalzati sopra innumerevoli rottami antichi» 74 e che «tutte le volte che si eseguono scavi nelle stanze inferiori e nelle cantine, o si scavano fondamenta di nuovi edifizj s’incontrano abbondanti ruderi di fabbriche reticolate e laterizie, pavimenti a mosaico» 75, ecc. Inoltre, la stragrande maggioranza delle iscrizioni proviene proprio dal centro storico 76.

E dalle epigrafi, per lo più note già nel 1600 e nel 1700 77, si apprende che con l’estensione della cittadinanza romana e l’istituzione del municipium gli abitanti di Potentia, come del resto quasi tutti quelli delle città lucane 78, erano stati iscritti prevalentemente nella tribù Pomptina 79 e che Potentia era un municipio retto da quattuorviri iure dicundo 80, coadiuvati da quattuorviri aedilicia potestate 81 (anche, più semplicemente, quattuorviri aediles, aediles, e, singolarmente, quattuorvir 82). Le epigrafi attestano anche la presenza dei quattuorviri quinquennales 83 e dell’ordo decurionum 84. Tra i magistrati del municipium Potentinorum c’erano, infine, i quaestores 85. A tal proposito, si deve osservare che in anni recenti a questi magistrati di Potentia sono state attribuite funzioni del tutto improprie, perché in base all’errata interpretazione di alcune iscrizioni la questura potentina è stata caricata anche delle prerogative tipiche dei magistrati iusdicenti, come i quattuorviri o i duoviri, che ogni cinque anni, come quinquennales, avevano il compito di effettuare la lectio senatus e il censimento dei cittadini e dei loro beni. È, infatti, del tutto infondata l’asserita presenza a Potentia di quaestores quinquennales 86, derivata da una errata lettura di CIL X 131 (in cui quinq(uennalis) 87 è stato attribuito a q(uaestor) – carica menzionata prima di ‘quinq’ – mentre è invece da sciogliere come ‘IIIIvir quinquennalis’) e di CIL X 136  88 (in cui l’abbreviazione ‘q’ va sciolta ‘qui’ – cioè q(ui) v(ixit) a(nnis) XXV 89 – e non quinquennali), a cui è stata aggiunta inopinatamente 90 CIL X 13791, dove non vi è alcuna menzione di quaestores. Per concludere, si deve osservare – come accennato in precedenza – che, se è difficile determinare nel complesso i confini del territorio del municipium di Potentia 92, è invece possibile affermare con relativa sicurezza che, almeno dopo la guerra sociale 93 (se non prima 94), il santuario di Rossano di Vaglio rientrava nell’amministrazione dei magistrati potentini. Infatti, i quattuorviri menzionati nelle iscrizioni latine del santuario non possono che essere magistrati di Potentia (e, oltretutto, sarebbero i più antichi attestati nel territorio potentino)95. E, del resto, il legame tra il santuario e il municipium potentino è confermato dal fatto che un esponente della gens Acerronia 96, ben attestata a Potentia 97, fu responsabile di un importante intervento di restauro e ristrutturazione dell’area sacra 98, e, infine, dal fatto che la documentazione epigrafica attesta inequivocabilmente che il culto della Mefite Utiana era praticato a Potentia in età imperiale 99, quando ormai il santuario di Macchia di Rossano aveva cessato la sua attività.

 

FELICE SENATORE

 

NOTE

* Desidero ringraziare sentitamente Alfonsina Russo e Marcello Tagliente, che mi hanno sollecitato ad occuparmi di Potentia, e inoltre Rosalba Antonini, Marco Buonocore, Renata Cantilena, Helga Di Giuseppe, Cesare Letta e Giovanni Mennella per osservazioni critiche e suggerimenti.

1 Farebbero eccezione le iscrizioni con quattuorviri  provenienti dal santuario di Macchia di Rossano, perché, se – com’è probabile – sono pertinenti al municipium di Potentia, non sono successive all’età augustea (vd. infra nt. 95).

2 Pirro fu sconfitto in modo definitivo nel 275 a.C. e abbandonò l’Italia, ma i Romani riuscirono a piegare Lucani, Brettii e Sanniti solo nel 272 a.C.: su queste vicende belliche vd., tra gli altri, De Sanctis, Conquista, 361-399; Lepore, Lucania, 1887; Russi, Lucania romana, 6-7; Russi, Romanizzazione, 492-493; Cappelletti, Lucani e Brettii, 116-128; De Juliis, Greci e Italici, 82-85. 3 Magaldi, Lucania, 206; Lepore, Lucania, 1889-1990; Russi, Lucania romana, 17 ss.; Russi, Romanizzazione, 506 ss. 4 CIL X, p. 21. 5 Campbell, Land surveyors, 164. Vd. infra.

6 Mario Napoli definì Serra di Vaglio la «Potentia lucana»: il sito indigeno, di cui ignoriamo il nome, sarebbe stato distrutto dai Romani, «i quali avrebbero fondata poi la loro Potentia a breve distanza, in una località che svolgeva le stesse funzioni di nodo stradale» (Napoli, Lucania, 207); in verità, Mario Napoli istituisce un legame troppo diretto tra la fine di Serra di Vaglio e la ‘fondazione’ di Potentia, perché tra i due eventi potrebbe essere trascorso almeno un secolo. In precedenza, anche Concetto Valente aveva pensato di collegare l’area di Vaglio con la successiva Potentia (Valente, Basilicata, 248-249). Vd. inoltre Russi, Lucania, 1910; Adamesteanu, Basilicata, 219; M. Torelli, Rossano di Vaglio, 84; Terrenato, Potenza, 34; Capano, Potenza, 398; Capano, Territorio, 4; Russo, Luoghi sacri, 106; M.L. Nava, in Nava, Poccetti, Rossano di Vaglio, 96; Osanna, Torre di Satriano, 52. Tuttavia, alcuni studiosi pensano che l’eredità di Serra di Vaglio sia stata raccolta da Civita di Tricarico (cfr. Barra Bagnasco, Basilicata, 119, nt. 3; Gualtieri, Lucania, 96).

 7 E. Greco, Magna Grecia, 108; Tagliente, Itinerari fluviali, 93.

 8 A un abitato di capanne dell’età del Ferro si sostituì a partire dall’inizio del VI sec. a.C. un insediamento con impianto regolare, che intorno alla metà del V sec. a.C. si dotò di un circuito murario ad aggere e dopo una fase di cesura, tra la fine del V e gli inizi del IV sec. a.C., ebbe una forte ripresa, contraddistinta dalla costruzione intorno alla metà del IV sec. a.C. di un’ampia cinta muraria (5 km) a doppia cortina: Adamesteanu, Basilicata, 190 ss.; Adamesteanu, Scavi e ricerche, 19-21, 24; G. Greco, Serra di Vaglio, Guzzo, Magna Grecia, 355-356; Lo Porto, Ranaldi, Serra di Vaglio, 293-297; Pontrandolfo Greco, Lucani, 63-64, 74-77, 107-108, 152-154; Tréziny, Fortifications; d’Agostino, Basilicata, 229-230, 236; Bottini, Serra di Vaglio, 53-55; Bottini, Setari, Una metropoli, 205-206; Pica, Serra di Vaglio, 135; Tagliente, Basilicata, 397, 402, 416-418; Isayev, Indigenous centres, 110; De Gennaro, Circuiti murari, 86-88.

 9 Negli ultimi anni si registra la tendenza a considerare veri e propri ‘centri urbani’ quei siti che all’interno del circuito murario hanno rivelato tracce di una divisione regolare degli spazi o altri elementi che facciano pensare ad abitazioni private, edifici pubblici o edifici per attività produttive (ad es. a Pomarico Vecchio, Roccagloriosa, Serra di Vaglio, Serra Città di Rivello, Civita di Tricarico, Laos): cfr. Barra Bagnasco, Basilicata, 122, 124, 130; Isayev, Indigenous centres, 111 ss.; Osanna, Torre di Satriano, pp. 45-48; Isayev, Lucania, 65 ss. In precedenza, Emanuele Greco aveva contestato per Serra di Vaglio la definizione di ‘impianto urbano’ per il VI sec. a.C., ma riteneva che alla metà del IV sec. a.C. si fosse compiuto «un vero e proprio processo di urbanizzazione» (E. Greco, Abitato, 166). Sulle fortificazioni lucane vd. soprattutto De Gennaro, Circuiti murari, e la sintesi di Horsnaes, North Western Lucania, 39-48.

10 Per un’efficace disamina degli insediamenti lucani che nel corso del III sec. a.C. furono abbandonati vd. Isayev, Indigenous centres, 116 ss.

11 Adamesteanu, Basilicata, 212; G. Greco, Serra di Vaglio, 378; Small, Territorio, 565; Isayev, Indigenous centres, 116 ss.; de Cazanove, Tricarico, p. 171; Horsnaes, North Western Lucania, 46-47; De Gennaro, Circuiti murari, 87-88; Osanna, Torre di Satriano, 52.

12 A Serra di Vaglio la fase finale della vita dell’impianto difensivo «è caratterizzata da un livello di distruzione violenta con evidenti tracce di bruciato» (De Gennaro, Circuiti murari, 88). Per gli altri centri si veda Isayev, Indigenous centres, 116 ss.

 13 Vd. Isayev, Indigenous centres, 116 ss. e Isayev, Lucania, 154 ss.

14 M. Torelli, Leukania, XIX, e, inoltre, Isayev, Indigenous centres, 121.

15 De Sanctis, Conquista, 400; De Juliis, Greci e Italici, 85,

16 Liv. XXV 15, 6, che attesta la presenza di un presidio all’epoca della guerra annibalica. Cfr. De Sanctis, Conquista, 400.

17 Questo è il caso dei santuari di Macchia di Rossano, nel Potentino, e di Chiaromonte S. Pasquale, nella valle del Sinni, mentre i santuari di Serra Lustrante di Armento, in Val d’Agri, e di Colla di Rivello, nel Lagonegrese, terminarono la loro esistenza, rispettivamente, agli inizi del II sec. a.C. e nella seconda metà del III sec. a.C. (Isayev, Indigenous centres, 121-124; Isayev, Lucania, 31 ss., 61 ss.) .

18 D. Adamesteanu, in Adamesteanu, Lejeune, Santuario, 46; Adamesteanu, Dilthey, Macchia di Rossano, 81; Adamesteanu, Macchia di Rossano, 65; Russo, Luoghi sacri, 108-110.

19 CIL X 131, e inoltre CIL X 130, 132, 133. Si veda anche Lejeune, Méfitis, 24 e 36 ss.

20 La lunga esistenza del santuario ha consentito la documentazione di culture e tradizioni linguistiche diverse, e sostanzialmente, come osserva Domenico Musti, le iscrizioni in lingua epicoria, ma in alfabeto greco e poi latino, e infine in lingua e grafia latina testimoniano che «come Ennio possedeva tria corda, greco, osco e romano» (Musti, Magna Grecia, 323), così tre cuori sono presenti – diacronicamente e, a volte, sincronicamente – nella storia del santuario di Rossano.

 21 Vd. ad es. Guzzo, Rossano di Vaglio, 10; d’Agostino, Basilicata, 243; Cappelletti, Lucani e Brettii, 197. 22 «Le sanctuaire appartienent à la touta («civitas») osco-lucanienne des Utiani» (M. Lejeune, in Adamesteanu, Scavi e ricerche, 28); cfr. inoltre Lejeune, Rossano di Vaglio, p. 300; Pontrandolfo Greco, Lucani, 157; Isayev, Lucania,

22 Touta, com’è noto, è il termine italico indicante la ‘comunità’ politica (una sintesi in Senatore, Lega nucerina, 193 ss.), ed in Lucania sarebbe attestato indirettamente, in forma aggettivale, dalle iscrizioni di Castelluccio sul Lao (Rix Ps 1), di Roccagloriosa (Rix Lu 62B4 e B11) e di Montescaglioso (Rix tLu 12). Va tenuto conto, però, di una recente – controversa – proposta di Helmut Rix, secondo cui sarebbe il termine vereiiā– a designare lo ‘stato’ (la ‘comunità politica autonoma’) presso le popolazioni di lingua osca della Campania, della Lucania, del Bruzio e della Frentania, perché nel V sec. a.C. i Sanniti, durante la loro espansione, vennero in contatto con popolazioni presso le quali esistevano città-stato e avrebbero deciso di non usare più la parola toutā-, che sola, in origine, designava lo ‘stato’, adottando al suo posto il termine vereiia, per l’appunto, che, dal protoindoeuropeo (o preprotoitalico) *werg’-iyā-, nell’osco sannita della metà del sec. V avrebbe avuto il significato di «insediamento di una piccola comunità, cinto da palizzate o da muri’, forse con inclusione del territorio» (Rix, Tribù, stato, città, 218): vereiia nel meridione d’Italia e in Frentania avrebbe finito per indicare tanto l’insediamento quanto lo stato.

23 Dalle iscrizioni del santuario, dedicate a Mefite con attributo di ‘Utiana’ (altre epiclesi della dea sono caporoinna e aravina: cfr. Rix Lu 32, Lu 33, Lu 34; vd. adesso Poccetti, Mefitis, 90, 95), gli studiosi hanno supposto l’esistenza di un gruppo di Lucani designati dall’etnico Utiani che abitava nell’area di Rossano di Vaglio (Lejeune, Rossano di Vaglio, p. 300): Marchese, Lucani, 419; Marchese, Rossano di Vaglio, 899; Pontrandolfo Greco, Lucani, 155; Lejeune, Méfitis, p. 36; Del Tutto Palma, Iscrizioni, 70. L’epiclesi utiana, d’altro canto, è stata variamente ricondotta anche a un toponimo (*Utia: denominazione lucana di Serra di Vaglio? Cfr. Mr. Torelli, Rossano di Vaglio, 84), a un gentilizio (quello della gens Utia attestata da iscrizioni romane: cfr. soprattutto Mr. Torelli, Rossano di Vaglio, 85) e a un teonimo: su tutte le ipotesi cfr. in generale Mr. Torelli, Rossano di Vaglio, 84-85; Lejeune, Méfitis, 36; Coarelli, Mefitis, 185-186; Cappelletti, Lucani e Brettii, 195; Cedrone, Mefite, 13 ss.; Calisti, Mefitis, 81 ss. Fondamentali sul culto di Mefite – non solo riguardo a quello del santuario di Macchia di Rossano – sono i recenti studi di Paolo Poccetti, che ha mostrato la polivalenza della dea Mefite e ha invitato alla «prudenza verso qualsiasi agnizione etimologica» (cfr. Poccetti, Mefitis, 104), e l’ampio volume di Flavia Calisti sul culto della Mefite in Italia (Calisti, Mefitis, specialmente 164 ss.); molto utili anche Luschi, Mefitis e Caiazza, Mefitis.

24 Adamesteanu, Dilthey, Macchia di Rossano, 81. Di «“cantonal” or confederate sanctuary» parlano Fracchia, Gualtieri, Cult Practices, 221; da ultima, S. Mutino ritiene ‘evidente’ l’aspetto confederativo del santuario per il fatto che le vie di comunicazione si concentrano verso Macchia di Rossano (Mutino, Barrata, 101).

25 Pugliese Carratelli, Lucani, 581-583; E. Greco, Abitato, 167; Mr. Torelli, Rossano di Vaglio, 90, nt. 24; Russo, Luoghi sacri, p. 106; M.L. Nava, in Nava, Poccetti, Rossano di Vaglio, 95; M.L. Nava, in Nava, Cracolici, Rossano di Vaglio, 103. Loredana Cappelletti ritiene che allo stato attuale è dimostrabile solo la pertinenza cantonale del santuario, ma non si può escludere – e, anzi, lo ritiene probabile – che l’area sacra di Macchia di Rossano potesse «svolgere anche una funzione più ampia, di livello federale, ovvero come luogo di incontro politico, religioso ed economico di tutti i Lucani» (Cappelletti, Lucani e Brettii, 209-210).

26 Per una definizione di ‘confederazione’ e ‘federazione’ vd. L. Levi, in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino (ed.), Dizionario di politica, Torino 1983, s.v. ‘Confederazione’. D’altro canto, mancando per il mondo indigeno dell’Italia antica il lessico adeguato ad indicare i diversi tipi di aggregazione interstatale, si fa ricorso da qualche tempo ai termini greci sympoliteia (per indicare il vero e proprio ‘stato federale’), symmachia (per l’alleanza militare) e, più in generale, koinon: sulla questione vd. Senatore, Lega sannitica, 69-73, e per il mondo greco soprattutto gli studi di Hans Beck (H. Beck, Polis und Koinon. Untersuchungen zur Geschichte und Struktur der griechischen Bundesstaaten im 4. Jahrhundert v. Chr., Stuttgart 1997; H. Beck, Federal States, in G. Speake (ed.), Encyclopedia of Greece and the Hellenic Tradition, vol. 1, A-K, London-Chicago 2000, 612-613; H. Beck, Military League, in G. Speake (ed.), Encyclopedia of Greece and the Hellenic Tradition, vol. 2, L-Z, London-Chicago 2000, 1055-1057).

27 Sul fanum Voltumnae come luogo di riunione della ‘lega etrusca’ si veda da ultimi Briquel, Lega etrusca, 351 ss., con bibliografia precedente, Sisani, Hispellum, 500-503 e Aigner Foresti, Federalismo, 96 ss.; sul santuario di Diana Aricina e gli altri luoghi di culto della ‘lega latina’ vd. da ultimi Liougille, Gouvernement fédéral, 429 ss. e Aigner Foresti, Federalismo, 87 ss.

28 Vd. ad es. Lejeune, Calcatello e Letta, Oppidum, 388 ss. (federale); La Regina, Aspetti istituzionali, 21 e La Regina, Sanniti, 304 ss., 422 (nazionale).

29 Pol. II 39.

30 De Sensi Sestito, Federalismo, 198 ss.; Musti, Magna Grecia, 125, 138; Aigner Foresti, Federalismo, 110.

 31 De Sensi Sestito, Federalismo, 205 ss.; Aigner Foresti, Federalismo, 110 ss.

32 «Il santuario appare come un monumento religioso confederato: esso non è legato ad alcuno dei centri abitati vicini conosciuti» (Adamesteanu, Dilthey, Macchia di Rossano, 81).

33 Non è convincente, a mio avviso, l’opinione secondo cui il ‘carattere federale’ del santuario sarebbe confermato dal fatto che non si nota «la prevalenza della moneta di alcuna zecca rispetto alle altre» (Stazio, Siciliano, Documentazione numismatica, 87), perché, data la provenienza delle monete da buona parte dell’Italia meridionale, da Roma e anche da importanti città del Mediterraneo, si dovrebbe pensare – paradossalmente – a un santuario ‘federale’ che andasse ben oltre l’ethnos dei Lucani (le cui monete a leggenda LOUKANOM e LUKIANWN – oltretutto – pare che non siano finora attestate a Macchia di Rossano). 34 Questura: Rix Lu 6, 7, 8, 10 = (RV 17, 18, 01, 02); censura: Rix Lu 5 (= RV 28); senato: Rix Lu 5, 6, 7, 10 (= RV 28, 17, 18, 02). La cronologia delle iscrizioni (M. Lejeune, in Adamesteanu, Lejeune, Santuario, 78 ss.) è stata ricavata con ‘criteri interni’, suscettibili di rettifiche (Del Tutto Palma, Lucania, 14-16; Del Tutto Palma, Iscrizioni, 68).

35 Lejeune, Rossano di Vaglio, 300.

36 Sull’origine romana del ‘questore’: Camporeale, Terminologia magistratuale, 50 ss.; Russi, Lucania, 1895; Campanile, Strutture magistratuali, 25-27; sul ‘censore’ come portato della romanizzazione Letta, Magistrature, 65, nt. 157; sull’origine romana del termine osco senateís (gen. sing.): Camporeale, Terminologia magistratuale, 63 ss.; Laffi, Senati locali, 70; Laffi, Stato municipale, 382, e, inoltre, Catalano, Lucania, 142. In generale, Cappelletti, Lucani e Brettii, 208, nt. 711. Anche Marina Torelli rileva che nelle epigrafi di Rossano «è avvertibile un processo di romanizzazione assai avanzato» (Mr. Torelli, Italici, 96).

37 Il caso di Atina (ma anche quello di Rossano di Vaglio) rientra tra quelli che Umberto Laffi considera relativi ai ‘senati locali’, cioè quelli delle civitates foederatae, dove «ogni città ha il suo senato, come che esso si chiami, che si caratterizza per strutture proprie, conserva propri sistemi di reclutamento, esercita proprie funzioni politico-amministrative» (Laffi, Stato municipale, 383). Cfr. inoltre Catalano, Lucania, 142 e Catalano, Tanagro, 92 sul senato di Atina in rapporto alla romanizzazione; vd. inoltre Isayev, Lucania, 137.

38 Della sterminata bibliografia sulla lex Osca Tabulae Bantinae si veda Galsterer, Lex Osca; Del Tutto Palma, Tavola Bantina; M. Torelli, Bantia; Tagliente, Banzi, 71; Mr. Torelli, Italici, 96-97; Campanile, Assimilazione culturale, 312; Russi, Lucania romana, 27; Russi, Romanizzazione, 512; Lo Cascio, Romanizzazione, 28-29; Gualtieri, Lucania, 91 ss.; Galsterer, Stadtgesetze, 37-39.

39 Il Lejeune riteneva possibili tre soluzioni a proposito dell’appartenenza del santuario di Macchia di Rossano: 1) appartenenza a una piccola confederazione di toutas del territorio tra il Basento e il Bradano, 2) appartenenza a una grande confederazione dell’ethnos lucano, 3) appartenenza ad un’unica touta. Tra queste, l’ultima era quella che lo studioso francese prediligeva (Lejeune, Rossano di Vaglio, 299-300; Lejeune, Méfitis, 36-37). Del resto, quale che fosse la natura della ‘lega lucana’ (confederazione o stato federale: sulla questione, da ultimo, Senatore, Lega sannitica, 84 ss.), è evidente che essa dopo la guerra annibalica, che aveva visto gran parte dei Lucani coalizzati contro Roma, non fosse più in piedi (cfr. Russi, Lucania romana, 21; Russi, Romanizzazione, 506).

 40 Cfr. ad es. Russi, Lucania romana, 26, Russi, Romanizzazione, 511, Gualtieri, Lucania, 96.

41 Mr. Torelli, Rossano di Vaglio, 84; Terrenato, Potenza, 34; Capano, Territorio, 4; Osanna, Torre di Satriano, 52. A.M. Small, tuttavia, osserva che «non vi sono testimonianze materiali di una occupazione romana precedente il periodo del triumvirato» del 43 a.C. (Small, Territorio, 582), e, pertanto, pensa a una fondazione successiva alla guerra sociale o ancora più tarda.

42 Pais, Colonizzazione, 346; Catalano, Lucania, 141; Russi, Romanizzazione, 506 ss. Diversa sarebbe la situazione nella Valle del Tanagro: cfr. Solin, Tanagro.

43 Si veda soprattutto Lepore, Lucania, 1889, e inoltre; Catalano, Lucania, 144; Gualandi, Palazzi, Paoletti, Lucania, 161; Catalano, Tanagro, 86; M. Torelli, Leukania, XIX; Russi, Romanizzazione, 506; Gualtieri, Lucania, 9 ss.; Osanna, Torre di Satriano, 51; Isayev, Lucania, 165. Più prudenti sono Solin, Tanagro e Small, Territorio, 570.

44 Lepore, Lucania, 1889.

 45 Cfr. Lepore, Lucania, 1889; Gabba, Strutture agrarie, 40; M. Torelli, Leukania, XVII; Russi, Romanizzazione, 523.

46 Vd. ad es. Gabba, Strutture agrarie, 39; Nicolet, Strutture, 49 ss.; Gabba, Gromatici, 400-401; Senatore, Distribuzioni agrarie, 86-91.

47 ILLRP 469, 470, 471, 472; Magaldi, Lucania, 216 ss.; Russi, Lucania, 1891; Russi, Lucania romana, 36 ss.; Russi, Romanizzazione, 519; Isayev, Lucania, 180 ss. I cippi graccani si datano al 131 a.C. (Russi, Romanizzazione, 522).

48 Russi, Romanizzazione, 519.

49 Campbell, Land surveyors, 164 e infra.

50 Kahrstedt, Ager publicus, 177; Brunt, Italian Manpower, 280-281; Russi, Lucania, 1891; Pareti, Regione lucano-bruzzia, 435; Russi, Romanizzazione, 511.

51 Vd. infra.

52 è la cauta ipotesi di Mario Torelli (Torelli 1992, p. XVII), che si fonda, in pratica, sugli studi di Michel Humbert, secondo cui l’istituzione delle praefecturae era legata all’estensione della civitas sine suffragio (Humbert, Municipium, 371). Siccome pare che non vi sia stata estensione della civitas sine suffragio dopo il 268 (ibidem, 209 ss.), è logico dedurne, come fa il Torelli – in base, però, alla precoce romanizzazione che sarebbe attestata da un’iscrizione del santuario di Chiaromonte – che «la presenza di queste praefecturae deve essere stata più precoce di quanto comunemente si ammetta» (Torelli 1992, p. XVII). Sulla civitas sine suffragio si veda da ultimo Mouritsen, Civitas sine suffragio, il quale ritiene una ‘costruzione moderna’ l’idea che la civitas sine suffragio abbia costituito una fase transitoria all’acquisizione della civitas optimo iure; secondo lo studioso è difficile ridurre l’istituto della civitas sine suffragio in una formula, perché a volte, piuttosto che di un privilegio, si tratta di una ‘punizione’ (ibidem, 154; cfr. su quest’ultimo punto, di recente, anche Cappelletti, Fetiales).

 53 Come è ben noto, il Liber coloniarum o, meglio, il Liber regionum è una compilazione di informazioni – che vanno dai Gracchi alla fine del II sec. d.C. – di carattere agrimensorio e istituzionale, redatta nella forma attuale nel IV secolo, ma che si basa su una raccolta di dati messa insieme a partire dall’età augustea, con successive aggiunte: vd. Thomsen, Italic Regions, 261 ss.; Keppie, Colonisation, 8-12; Nicolet, Inventario, 193; Grelle, Libri coloniarum; Del Lungo, Pratica agrimensoria, 299-327. In generale si veda anche Chouquer, Clavel Lévêque, Favory, Vallat, Structures agraires, 233 ss. soprattutto sui dati relativi all’Italia centro-meridionale.

 54 Campbell, Land surveyors, 164. Il lemma sulle praefecturae – unico in tutto il Liber coloniarum – è introdotto da Incipit liber Augusti Caesaris et Neronis (quest’ultimo da identificare in Tiberio, prima della sua adozione da parte di Augusto nel 4 d.C.): vd. Thomsen, Italic Regions, 271-273; Keppie, Colonisation, 9, Grelle, Libri coloniarum, 80.

55 «Quale struttura amministrativa si voglia indicare con quella espressione è assai dubbio» (Grelle, Libri coloniarum, 77).

56 E. Gabba e G. Camodeca, infatti, escludono – contra, Beloch, Römische Geschichte, 493-495 e Brunt, Italian Manpower, 280 – che Grumentum sia stata una colonia graccana (cfr. Gabba, Urbanizzazione, 95; Camodeca, L’età romana, 31, e da ultimo Mastrocinque, Grumentum, che propone di datare all’età cesariana la colonia di Grumentum).

 57 Grelle, Libri coloniarum, 79-80; Pareti, Regione lucano-bruzzia, 443. La forma “classica” della centuria di 200 iugera (con i lati di 20 actus, cioè 710 m.) fu il risultato finale di un processo di elaborazione che si andò sviluppando a partire dalla deduzione delle colonie latine di Piacenza e Cremona (Gabba, Gromatici, 405). Ettore Pais riteneva, tuttavia, che tutte le prefetture lucane fossero limitibus Graccanis (Pais, Colonizzazione, 152; cfr. Magaldi, Lucania, 216), e di recente Angelo Russi ha fatto notare che sebbene per Volcei e Atina le fonti letterarie non parlino di limitibus Graccanis, tuttavia i cippi graccani rinvenuti nel loro territorio ne costituiscono una prova archeologica (Russi, Romanizzazione, 522).

58 Beloch, Römische Geschichte, 593: l’esistenza di prefetture «ist aber für Paestum und Velia sicher falsch, und kann auch für die übrigen Städte, oder doch die meisten, nicht richtig sein, da sonst ganz Lucanien römischen geworden sein müsste, während die Lucaner sich am Socialkriege gegen Rom beteiligt haben». Cfr. Russi, Lucania, 1891, Russi, Romanizzazione, 513.

59 Solin, Tanagro, 411.

60 Brunt,Italian Manpower, 280-281. Ma in precedenza anche Pais,Colonizzazione, 334 e Kahrstedt, Ager publicus, 177; cfr. inoltre Grelle, Libri coloniarum, 77.

61 Humbert, Municipium, 385, nt. 92, e, più in generale, M. Torelli, Leukania, XVII.

62 Russi, Lucania, 1892; Humbert, Municipium, 385, nt. 92; Solin, Tanagro,411; Grelle, Libri coloniarum, 77; Russi, Romanizzazione, 513; Campbell, Land surveyors, 402-403.

 63 Mr.Torelli, Rossano di Vaglio, p. 84, che però non esclude l’alternativa che, invece di una deduzione coloniale, si sia avuta la costituzione di un municipio. Secondo il Pais, invece, «il nome di Potentia, se non è una prova di colonia (non figura nei nostri elenchi), pare conciliarsi con la formazione di una praefectura romana, simile ad es. a Potentia ed a Pollentia nella regio IX di Augusto o Liguria» (Pais, Colonizzazione, 148). A proposito del nome di Potentia, ritengo di un certo interesse – per l’epoca in cui scriveva – lo scetticismo di Emmanuele Viggiano sui tentativi di spiegazione etimologica degli eruditi locali, al punto di concludere che «non abbiam noi nulla di certo sul tempo dell’edificazione di questa città, e sull’origine del suo nome» (Viggiano, Potenza, 23). Per quanto riguarda, poi, l’ipotesi di Antonio Capano che Potentia sia stata una colonia romana, essa è, in verità, piuttosto forzata, perché nasce dalla suggestione di mettere in collegamento la città lucana con la Potentia dedotta dai Romani in Picenum agrum (Liv. XXXIX 44, 10) nel 184 a.C. (evento che Capano, Potenza, 397 attribuisce erroneamente alla Potenza lucana) e con la presenza dei «Piceni» (Capano, Territorio, 4) nell’agro picentino della Campania (sui Picentes trasferiti nell’ager Picentinus nel 268 a.C. vd. ad es. Cassola, Conquista romana, 106): secondo il Capano in Lucania sarebbe stata dedotta la colonia «graccana» di Potentia con coloni provenienti o dall’agro picentino o dalla Potentia picena (Capano, Territorio, 4; vd. anche Buccaro, Città romana, 7). Per quanto riguarda Potentia Picena si veda il bel volume a cura di E. Percossi Serenelli, Potentia. Quando poi scese il silenzio… Rito e società in una colonia romana del Piceno fra Repubblica e tardo impero, Milano 2001, e in particolare, all’interno del volume, l’articolo di E. Percossi Serenelli, La colonia romana di Potentia, 26-49.

64 M. Torelli, Rossano di Vaglio, 84: «sia che ci si trovi di fronte ad una deduzione coloniale, sia che si tratti della costituzione di un municipio, si verifica comunque un mutamento del toponimo».

65 A meno che il poleonimo Potentia non sia stato ‘ricalcato’ su un poleonimo lucano preesistente, così come Co(n)sentia è poleonimo latino, ma il centro bruzio era preesistente alla conquista romana. Ringrazio Cesare Letta per l’osservazione.

66 Si potrebbe eventualmente pensare, infine, e con un po’ di audacia, che la denominazione ‘Potentina’, registrata nel Liber coloniarum, sia stata attribuita alla preesistente praefectura del Potentino in seguito all’istituzione del municipio di Potentia: con questo nome, infatti, la praefectura potrebbe essere stata registrata in epoca piuttosto tarda, e cioè quando venne redatta la sezione del Liber coloniarum che riguarda il territorio in esame, vale a dire in età augustea (cfr. supra nt. 53). Probabilmente risale all’età augustea anche il passo pliniano che annovera i Potentini fra i Lucani (Plin. N.h. III 15, 98), perché, descrivendo l’Italia in regiones, per le comunità dell’interno Plinio avrebbe attinto a una lista alfabetica di città e di popoli tratta da un’opera di Augusto (cfr. ad es. Keppie, Colonisation, 4-8; Nicolet, Inventario, 208-215).

67 Cfr. Pedio, Potenza, 99.

68 Russi, Romanizzazione, 523, con l’elenco delle fonti.

69 App. b.c. I 41, 184.

70 Cfr. Small, Territorio, 583.

71 Small, Territorio, 582. L’affermazione di A. Small sembra fondarsi, nell’articolo citato, principalmente sull’interpretazione dei dati di un tesoretto monetario «proveniente dalla città» (ibidem, nt. 143) che «include come pezzo più antico un denarius di P. Accoleius Lariscolus del 43 a.C.» (ibidem). Tuttavia, si deve osservare che né il Crawford – citato da Small a proprio sostegno (cfr. Crawford, Coin Hoards, 118, n. 400) -, né Luigi Correra, cioè l’editore dei quattrocentoventiquattro denari del tesoretto (che in origine ne comprendeva ottocento), autorizzano ad affermare che il denarius di P. Accoleius Lariscolus sia il pezzo più antico: si tratta, invece, di una delle emissioni più recenti (cfr. Crawford, cit., e Correra, Ripostiglio, 545). Inoltre, il ripostiglio non fu affatto rinvenuto – nell’aprile del 1902 – nella città di Potenza, ma nei suoi «dintorni» (Correra, Ripostiglio, 541), e, pertanto, nulla ci dice sulla cronologia dell’impianto urbano di Potentia.

72 Ad es. Atina nel Lazio era praefectura ancora nel 54 a.C., Amiternum in Sabina lo era ancora in età augustea e non è certo che successivamente sia diventata municipium (vd. Segenni, Iscrizioni, 82; Segenni, Amiternum, 70; Segenni, Liberti, 19, nt. 23 e 22, nt. 31); altri casi di centri rimasti a lungo praefecturae sono quelli di Peltuinum e Aveia: per le problematiche ad essi relative si veda Buonocore, Storia amministrativa locale. E, in generale, si veda i casi indicati da Umberto Laffi: Laffi, Italia romana, 202 e Laffi, Stato municipale, 379.

 73 A lungo si è ritenuto, infatti, che Potentia andasse cercata in basso, sulle sponde del Basento, dove Marino Freccia aveva visto iuxta flumen antiquas in marmore inscriptiones (Freccia, De subfeudis, I, fol. 59, che corrisponde a p. 85 dell’edizione veneziana del 1579). Queste iscrizioni all’epoca del Viggiano e del Lombardi erano scomparse (cfr. Viggiano, Potenza, 46; Lombardi, Topografia, 228), ma, in precedenza, l’Arcidiacono Giuseppe Rendina pensava che il riferimento del Freccia fosse ad alcuni ‘marmi’ che, ancora alla metà del ’600, «sta[vano] fabbricati avvanti la Porta grande di S. Cataldo, vicino al Fiume» (Rendina, Potenza, 134-135), cioè le epigrafi attualmente conosciute come CIL X 136 e 153. L’ipotesi di ubicare Potentia in pianura, e specificatamente, in località Murata, ebbe notevole seguito e lunga durata (cfr. ad es. Gatta, Memorie, 327 e Valente, Basilicata, 247 ss.): sintesi sulla questione in Pedio, Potenza, 99, che ribadisce il fatto che non esiste nessuna prova che la Potenza antica sia «fiorita» sul Basento. Cfr., inoltre, Capano, Territorio, 5 e Buccaro, Città romana, 7-8 con ampia storia degli studi.

 74 Lombardi, Topografia, 227-228.

75 Lombardi, Topografia, 227-228. Cfr., inoltre, Lombardi, Critonio, 70; Viggiano, Potenza, 47-48.

 76 «Né si tralasci di soggiungere, che quasi tutti i marmi, che presentiamo al pubblico, ed una infinità di altri, che ora si veggono cancellati, e che furono dugent’anni sono come pietre comunali (e ve n’è memoria scritta) nell’alzare le fondamenta del Seminario; tutti dico nella Città odierna esistevano, e sono» (Viggiano, Potenza, 48). Cfr., inoltre, Lombardi, Topografia, 228.

77 Infatti, la prima raccolta delle epigrafi potentine è nella Istoria della città di Potenza dell’Arcidiacono Giuseppe Rendina (un manoscritto della prima metà del ’600, elaborato forse tra il 1666-68 e il 1673, e poi ‘trascritto e accresciuto’ da Gerardo Picernese dal 1758 fin oltre l’anno 1771, cfr. R.M. Abbondanza Blasi, in Rendina, Potenza, 5), seguita da quella di Costantino Gatta (in Lucania illustrata, Napoli 1723 e Memorie topografico-storiche della provincia di Lucania, Napoli 1732, 325-327) e poi da quella di Emmanuele Viggiano (in Memorie della città di Potenza, Napoli 1805, 190-226). Giuseppe Rendina è personaggio particolarmente meritorio, perché si adoperò in ogni modo per preservare da distruzione le epigrafi, che, ai suoi tempi, spesso venivano scalpellate e riutilizzate, ad esempio, nel selciato delle strade: «assai Giovanetto (…) vedevo sibbene, che grossi, e spaziosi Marmi incisi, con diversi e lunghi Epitaffi, e puntate Iscrizioni, ò intieri, o dimezzati si fabbricavano tra i Fondamenti delle Mura; ne viddi anco porre nelle strade, come di presente si veggono più pezzi dè Marmi Spezzati, con iscrizioni Latine, nella selciata, che dal Pantone del Palazzo di questi Eccellentissimi Signori [cioè i conti Loffredo], va a terminare alla Chiesa Cattedrale» (Rendina, Potenza, 130). Inoltre, il Rendina s’impegnò a trascrivere fedelmente le iscrizioni, anche quelle più difficili da leggere, considerandosi «più pago del Nome di Cattivo Interprete, che di Commentatore addente ed espositore In veridico» (Rendina, Potenza, 129).

 78 Russi, Romanizzazione, 531.

79 CIL X 131, 137, 138, 344, 433, AE 1923, 80.

80 Russi, Lucania, 1905; Russi, Romanizzazione, 529. I quattuorviri iure dicundo di Potentia sono attestati con certezza in iscrizioni rinvenute a Potenza (CIL X 137, 138, e – quasi certamente – CIL X 131, 133), ma probabilmente anche a Muro Lucano (CIL X 434). Per i quattuorviri, presumibilmente potentini, documentati nel santuario di Rossano di Vaglio vd. infra, nt. 95.

 81 Per gli edili di Potentia: CIL X 131, 136, 137, 138, e (probabilmente) CIL X 434 da Muro Lucano (cfr. Russi, Lucania, 1905).

82 Cfr. soprattutto Degrassi, Quattuorviri e, da ultimo, Laffi, Struttura costituzionale, 112.

83 I quattuorviri quinquennales sono attestati da CIL X 131 (da Potenza), 344 (da Atena Lucana) e forse 433 (da Muro Lucano): cfr. Russi, Lucania, 1905. Per quanto riguarda l’iscrizione CIL X 433 da Muro Lucano, essa è di incerta lettura: infatti, Nicola Corcia, parlando del fiume Platano, scrive che «un antico ponte, del quale appena rimane una base dove dicesi Ponte rotto, fu costrutto su questo fiume, ma forse nel medioevo, perché fabbricate vi si veggono due lapide sepolcrali del l’antica città di Numistrone. Dall’uno de’ lati vi si legge la seguente (…) [cioè CIL X 436] e dall’altro quest’altra [cioè CIL X 433], malamente trascritta, e supplita come meglio ho saputo» (Corcia, Storia, pp. 88-89). Il Mommsen, pertanto, riportando il testo dell’iscrizione ‘trascritto e supplito’ dal Corcia, si sentì in dovere di mettere in guardia il lettore: cave igitur ab interpolatione (CIL X 433, p. 47). Nel testo di Muro Lucano vi sarebbe, in base alla lettura del Corcia, la menzione di duoviri (e così riporta Simelon, Lucanie, 90), che, in verità, sarebbe palesemente in contraddizione con la costituzione municipale di Potentia che si ricostruisce dalle altre epigrafi note. Pertanto, è preferibile pensare – sul modello di CIL X 131 – che anche nell’epigrafe di Muro Lucano vi dovesse essere la sequenza quattuorvir, quaestor, quinquennalis.

84 Per Potentia: CIL X 135, 137. Vd. in generale Laffi, Stato municipale, 386- 388.

85 Per i quaestores del municipium Potentinorum: CIL X 131 e 136; cfr. Mommsen in CIL X, p. 21; Russi, Lucania, 1905 e Petraccia Lucernoni, Questori, 135-136.

86 Terrenato, Potenza, 34 e Gualtieri, Lucania, 97.

87 CIL X 131 (= ILS 4027): mefiti · vtianae / sacr / m · helvivs · m · f · pom / clarvs · vervlanvs · priscvs / aed · iiii · vir · q · qvinq · flamen / romae · et · divi · avgvsti · cvrator / rei · pvblicae · potentinorvm / d · s · p.

 88 CIL X 136: d · m / l · calpvrnio · favstino / aedili · qvaestori · q / v · a · xxv / calpvrnivs · vaesi o · pater / et · maesia · optata / filio · benemerenti / fecervnt.

89 Petraccia Lucernoni, Questori, 136.

90 Terrenato, Potenza, 34.

 91 CIL X 137: p· plaeTorio / p · f · pom / vrso / aed · iiii · vir · i · d / pontif · avgvr / minisTri · larvm / avgg / patrono / l · d · d · d.

92 Vd. Di Giuseppe, Confini.

93 Cfr. Lejeune, Méfitis, 39; Falasca, Mefitis, 35.

94 Cioè nel caso in cui i questori, il censore e il senato delle epigrafi di Rossano di Vaglio fossero pertinenti a un centro lucano precedente il futuro centro di Potentia (cfr. supra).

95 Sono certamente quattuorviri  i magistrati di RV 45 (e probabilmente RV 31, 43), mentre si ricavano da massicce integrazioni quelli di RV 32, 37, 38, 46: per una sintesi vd. Lejeune, Méfitis, 23 e 39, che in RV 46 integra persino una menzione del municipium Potentinorum. Se è corretto identificare i magistrati di Rossano di Vaglio con i quattuorviri di Potentia, si tratterebbe della più antica attestazione dei quattuorviri potentini, perché le epigrafi provenienti da Potenza sono di età imperiale, mentre le iscrizioni del santuario non vanno oltre l’età augustea (Falasca, Mefitis, 30).

 96 Il riferimento è alla celebre iscrizione RV 22 rinvenuta nel santuario di Macchia di Rossano. Piuttosto problematica è l’identificazione dell’Acerronius citato nell’epigrafe in questione: secondo M. Lejeune doveva trattarsi del console del 37 d.C., Cn. Acerronius Proculus, citato da Tacito in Ann. VI 45 (M. Lejeune, in Adamesteanu, Lejeune, Santuario, 73; contra, già Camodeca, Senato, 151), ma più recentemente l’iscrizione, per ragioni paleografiche, è stata fatta risalire alla metà o alla fine del I sec. a.C. (M. Torelli, Rossano di Vaglio, 85; Falasca, Mefitis, 29), e in Acerronius si è voluto vedere il console Acerronius ricordato da Cicerone in una orazione del 71 a.C., pro Tullio 7, 16-17 e 8, 20 (Falasca, Mefitis, 30), oppure suo figlio, a sua volta bisnonno del console del 37 d.C. (Mr. Torelli, Rossano di Vaglio, 85). Sugli Acerronii vd. Camodeca, Senato, p. 151; Camodeca, L’età romana, 52. 97 Cfr. CIL X 142, 144 e 145. Camodeca, Senato, 151.

98 Adamesteanu, Dilthey, Macchia di Rossano, 78.

99 Per le iscrizioni della Mefite Utiana provenienti da Potenza vd. CIL X 130 (Mefite senza epiclesi), 131, 132, 133. Cfr. Lejeune, Méfitis, 24 e 36; Falasca, Mefitis

 

NELLA FOTO; L’area archeologica del Santuario federale lucano di Rossano.

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