UN IMPORTANTE PITTORE TOSCANO DEL RINASCIMENTO: “IL PISTOIA”

 

 

Sto per raccontare ai lettori di ‘Potentia Review’ un’altra storia artistica che, sicuramente, nessuno ha mai appreso e conosciuto fino a questo momento. Un’altra ancora, diciamo così. Un’altra storia insospettata ed insospettabile, tipico caso e tipica situazione di una città, che, per tutta una serie di motivi, ha subito un plagio con annessa ‘damnatio memoriae’. Ma entriamo subito nel merito. Per capire la nostra storia, cantava Francesco Guccini in una sua nota canzone (‘La Genesi’, per la precisione), bisogna farsi ad un tempo remoto. Il tempo è il 1503 e nel 1503 nasce nella nobile e bella città di Pistoia, in Toscana, Leonardo Grazia (Grazia era il cognome, ma qualche volta fu chiamato anche Grazzi), figlio di un pittore di scarso o scarsissimo successo detto il Freddurello (Pistoia 1503 – Napoli 1548). Anche il giovane Leonardo cominciò a fare il pittore e cominciò ad apprendere i primi rudimenti della pittura grazie a Giovan Francesco Penni detto il Fattore. Una premessa: c’era già un altro pittore di Pistoia che si chiamava anch’egli Leonardo. Per molto tempo i due Leonardo, pistoiesi e pittori entrambi, sono stati confusi dalla critica d’arte. L’altro si chiamava Leonardo Malatesta e venne alla luce artisticamente prima di Leonardo Grazia, ma è meno importante del nostro Leonardo Grazia per cui, da questo momento, lo ignoreremo e parleremo solo di Leonardo Grazia detto il Pistoia. Qualcuno a questo punto si starà chiedendo; va bene, ma perché parlare di un pittore toscano del Rinascimento su ‘Potentia Review”? Calma e pazienza. Fra poco lo vedrete. Quindi, dicevo, Leonardo Grazia detto il Pistoia che, da questo momento, chiamerò alla maniera artistica semplicemente ‘il Pistoia’, si forma alla scuola di Giovan Francesco Penni detto il Fattore. Si può dire che la vita e la carriera artistica del Pistoia ebbero quattro fasi; la fase toscana, la fase romana, la fase napoletana ed una piccola fase in una zona, che, per il momento non svelerò al lettore. Nella fase toscana, quella giovanile, ‘Il Pistoia’ firmò diverse opere a Pistoia, sua città natale, ed a Lucca con l’Annunciazione nella chiesa di San Martino. A proposito della Annunciazione, ai primi del 1800, Luigi Lanzi, autore della “Storia Pittorica dell’Italia” definì il dipinto lucchese del Pistoia come un “quadro degno di un nipote di Raffaello”. Al periodo romano sono state ricondotte le tre tavole raffiguranti tutte la Madonna con Bambino e s. Giovannino (Galleria Borghese a Roma), le prime due attribuite al Pistoia dallo storico dell’arte Ferdinando Bologna e la terza attribuitagli da Pierluigi Leone de Castris, attualmente Docente Ordinario di Storia e di critica dell’arte alla Università ‘Orientale’ di Napoli. La loro datazione (Bisceglia) è stata fissata a prima del Sacco di Roma, avvenuto nel 1527 ad opera dei Lanzichenecchi, o la si è ritenuta oscillante fino al quarto decennio (De Castris). Le tavole erano state in passato ricollegate alla scuola di Raffaello (Della Pergola, ambito di Giulio Romano; cerchia di Perin del Vaga). In effetti, rielaborano motivi desunti da Raffaello e dalla sua scuola. Il Pistoia fece parte, a Roma, della cerchia dei discepoli di Raffaello probabilmente attraverso la mediazione del Fattore. Altra notizia su questo, non proprio secondario, pittore del Rinascimento la forniva Baglione, quando menzionava l’aiuto dato da Iacopino Del Conte, da poco arrivato nella città papale, al Pistoia nell’esecuzione della pala per S. Pietro in Vaticano (sagrestia dei canonici) raffigurante la Vergine con il Bambino e i ss. Anna, Pietro e Paolo, collocabile intorno al 1537 (Federico Zeri). Particolarmente felice e fertile fu il periodo romano del Pistoia nella Roma del più prolifico mecenatismo papale, cioè in una Roma che proprio in quel periodo toccava i vertici artistici della sua storia. Al quarto decennio sono anche generalmente riferite tre opere, anch’esse conservate nella Galleria Borghese (Bisceglia): una Lucrezia, olio su lavagna, già ricordata alla metà del 1600 come opera del Pistoia e ascritta successivamente alla maniera di Iacopino del Conte (Della Pergola); una Venere e una Cleopatra, attribuite nel passato talvolta a Giulio Romano e, in seguito, all’ambito di Baldassarre Peruzzi (ibid.). Giulio Romano e Giovan Francesco Penni detto il Fattore, il maestro del Pistoia, furono i due allievi riconosciuti del, e dal, sommo Raffaello Sanzio da Urbino (che li nominò anche eredi testamentari). Le tre opere del periodo romano che ricordavo poc’anzi si caratterizzano per un gusto semplificativo della forma dalla fredda lucidità alabastrina e dai contorni un po’ duri. Si palesano quelli che potrebbero considerarsi alcuni dei tratti salienti dello stile del Pistoia, riconoscibili in molti dipinti oggi attribuitigli: la predilezione per gli incarnati eburnei, la definizione di volti ovali e la caratterizzazione delle mani affusolate e delle dita allungate. Agli ultimi anni del soggiorno romano sono state ricondotte alcune opere quali la Madonna col Bambino e s. Giovannino della Galleria Borghese o la Madonna col Bambino della Galleria regionale della Sicilia a Palermo, avvicinata alle opere napoletane (Pierluigi Leone de Castris). Dopo Roma, il Pistoia si diresse a Napoli, altra importante città d’arte nonché capitale di uno Stato tra i più importanti d’Italia e d’Europa. Attivo agli inizi degli anni Quaranta del 1500 a Napoli, gli è stato restituito il dipinto Venere e Cupido del Museo nazionale di Capodimonte, proveniente dalla raccolta d’Ávalos, che, per la semplificata riduzione formale e la levigatezza quasi metallica del colore, è accostabile ai nudi femminili della Galleria Borghese (Pierluigi Leone de Castris). Giorgio Vasari nel suo celeberrimo ‘Vite dei più eccellenti pittori, scultori ed architettori’, edizione del 1568, scrisse del Pistoia “il quale lavorò alcune cose in Lucca et in Roma, fece molti ritratti di naturale et in Napoli per il vescovo di Ariano Diomede Caraffa, oggi cardinale,  fece in San Domenico una tavola della Lapidazione di Santo Stefano in una sua cappella. et in Monte Oliveto ne fece un’altra, che fu posta all’altar maggiore, e levatene poi per dar luogo a un’altra di simile invenzione di mano di Giorgio Vasari aretino. Guadagnò Lionardo molti danari con que’ signori napoletani, ma ne fece poco capitale, perché se gli giocava di mano in mano. E finalmente si morì in Napoli, lasciando nome di essere stato buono coloritore, ma non già di aver avuto molto buon disegno”. Il nome del Pistoia verrà associato molte volte a quello del Vasari, ma prima di continuare, non sarà inutile ricordare al lettore chi è o fu il Vasari. Parlando del pittore, storico dell’arte ed architetto aretino si può dire che Giorgio Vasari (Arezzo 1511 – Firenze 1574) è stato colui che ha avuto ed ha tuttora il merito di aver tramandato ai posteri d’Italia e del mondo intero la conoscenza di tutta la grande arte italiana. Da secoli, in tutto il mondo è possibile ammirare e conoscere, studiare ed approfondire, innamorarsi della grande arte italiana solo grazie al fatto che Giorgio Vasari fece un lavoro titanico di raccolta delle biografie di tutti i più importanti pittori ed architetti del suo tempo, il tempo migliore che l’arte italiana abbia avuto; il Rinascimento, l’eccelsa fase storica, ma soprattutto artistica, che, ancora oggi, fa dell’Italia un mito mondiale insuperabile (e ciò che ancora oggi fa la fortuna turistica del Belpaese). Se tutto il mondo ha potuto conoscere la vita e le opere di Leonardo da Vinci o di Michelangelo, di Raffaello o di Piero della Francesca e di tutti i grandi artisti italiani del 1300, del 1400 e del 1500 lo dobbiamo, in gran parte, alla Bibbia della storia dell’arte scritta dal Vasari: “Vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori”, che ebbe due edizioni, quella del 1550 e quella, definitiva, la migliore, del 1568. Come architetto, il Vasari fu colui che tirò su il complesso degli Uffizi a Firenze e fu buon pittore, non ottimo ma buono, di gusto manierista. Il Vasari ed ‘il Pistoia’ sono due nomi che si incrociano diverse volte, anche malgrado quella che fu la volontà dei due protagonisti. Come emerge da uno studio francese (una tesi di laurea discussa all’Università francese di Lione), il Vasari ed Il Pistoia sono ritenuti coloro che a Roma e a Napoli dettero origine ai ritratti su pietra. Il Pistoia aprì il suo terzo periodo, il napoletano, nel 1541. Come scrive Michela Corso dell’Università Roma Tre in uno studio critico su Jacopino del Conte, che a Roma aveva collaborato col Pistoia, il Pistoia a Napoli “incontrò il favore di quei committenti che, nei primi decenni del secolo, avevano dato una svolta al gusto artistico napoletano, sollecitando il mercato locale in direzione di una tendenza “moderna” di matrice romana e sostenendo, tra gli altri, proprio Giovan Francesco Penni. Leonardo Grazia, quindi, probabilmente ereditò in qualche modo i contatti già coltivati dal suo maestro, ad ulteriore testimonianza di una certa duratura consuetudine tra i due artisti; tra i committenti del Pistoia a Napoli, infatti, figurano il banchiere fiorentino Tommaso Cambi, il cardinale Diomede Carafa e alcuni esponenti della corte d’Avalos, grazie ai quali egli lavorò in San Domenico Maggiore, in Santa Maria del Parto a Mergellina e per la chiesa di Monteoliveto”. Dopo aver realizzato una Pala nella Chiesa di Monteoliveto, la Presentazione al tempio, il Pistoia, suo malgrado, trovò sulla sua strada, e non si trattò certamente di un incrocio gradevole per lui, proprio la figura del Vasari. Quest’ultimo, arrivato anch’egli a Napoli, nel 1544, suggerì ai padri della chiesa napoletana la rimozione della pala del pittore pistoiese. Non si trattava del fatto che il quadro del Pistoia fosse brutto. Leonardo Grazia, detto il Pistoia, era già un pittore assolutamente affermato. Si trattava di una questione, per così dire, politica. Il Pistoia aveva raffigurato nella sua Pala alcuni personaggi potenti e molto in vista della società e dello Stato napoletano. Dipinse Simone con le sembianze dell’avvocato fiscale Antonio Barattuccio, considerato “uomo crudele e non misericordioso”, secondo una tradizione successivamente ripresa da Celano (1692). In un documento del febbraio 1545, nel quale è elencato tra i periti di fiducia del pittore Pietro Negroni nella causa per la pala Mastrogiudice, il Pistoia risulta risiedere presso il vescovo di Ariano Diomede Carafa (De Castris). Per lui avrebbe realizzato due pale, una, menzionata dal Vasari, come Lapidazione di s. Stefano, in S. Domenico Maggiore, andata dispersa, l’altra, S. Michele Arcangelo, per l’altare della sua cappella in S. Maria del Parto. L’opera, detta del “demonio di Mergellina”, venne segnalata da D’Engenio come opera di suprema bellezza eseguita da “Lunardo il Pistoia”, attribuzione rimasta invariata fino ai tempi recenti. Lo storico dell’arte Ferdinando Bologna la diceva documentata al 1542, mentre Leone de Castris riporta il 1550 come anno di fondazione della cappella Carafa. In base al confronto con le opere napoletane fin qui citate, sono stati attribuiti alla mano del Pistoia altri due dipinti, eseguiti in tono minore e senza particolare ambizione. Si tratta del Battesimo di Gesù  nella chiesetta di S. Maria della Neve e del Salvatore (Museo nazionale di Capodimonte). Insomma, il Pistoia visse a Napoli una fase molto prolifica e molto fortunata, di grande successo, come si direbbe con un linguaggio odierno, più ancora che a Roma, della sua carriera di pittore. A Napoli  guadagnò anche tanti soldi, come ricorda anche il Vasari. Eppure, ad un certo punto e per un certo periodo (alla fine tornerà a Napoli dove eseguirà qualche altro lavoro e dove morirà), si allontanò da Napoli per reazione a quanto era successo per la Pala della Chiesa di Monteoliveto. La causa della sua reazione e del suo allontanamento per un certo periodo da Napoli è da ricercare proprio nel suggerimento dato dal Vasari e accettato dai padri di Monteoliveto di sostituire la sua pala. Ma il Vasari non si limitò ad un suggerimento; propose ai frati di sostituire la pala del Pistoia con una realizzata da lui. La quarta fase, quella post-napoletana, del Pistoia vede la realizzazione nel 1545 per il Duomo di Altamura della pala con l’Assunzione della Vergine, inviata da Napoli alla fine del 1546 ed esposta al pubblico sull’altare maggiore il 14 giugno 1548 (Leone de Castris). Il fatto che nei documenti relativi alla pala sia citato anche Leonardo Castellano, allievo di Negroni e cognato di Giovan Filippo Criscuolo, talvolta ha spinto a identificare Leonardo da Pistoia, cioè Leonardo Grazia detto il Pistoia, con lo stesso Castellano (Previtali), che, probabilmente, fu solo un aiuto, attivo in modo limitato (Leone de Castris). Ed il resto della quarta fase dove si svolse? Qui, posso rivelare finalmente al lettore il dato che avevo tenuto nascosto all’inizio. Ebbene, la quarta fase fu una fase lucana. “Altre opere della bottega sono state individuate in Lucania, ed è stato ipotizzato che Antonio Stabile, che firmò nel 1569 la pala di Tramutola, fosse stato alunno del Pistoia”. Lo apprendiamo dalla voce enciclopedica dedicata al Pistoia scritta per l’Enciclopedia Treccani (consultabile online), che, a sua volta, si rifà alla ricostruzione del prof. Pierluigi Leone De Castris. A questo punto viene la parte finora meno indagata della attività del Pistoia, ma anche quella che ci riguarda più da vicino. Quindi, la quarta fase è lucana, dice De Castris. Ma dove si svolse concretamente? Si è ipotizzato, e si tratta di più che una ipotesi, che il pittore potentino Antonio Stabile fosse stato un allievo del Pistoia. Ma la pala del paesino di Tramutola la realizzò Antonio Stabile, non il Pistoia. Allora dove sono le tracce concrete del lavoro lucano dell’illustre pittore rinascimentale toscano? Per capirlo meglio e con sicura esattezza mi sono messo in contatto personalmente col prof. Pierluigi Leone De Castris e il prof. De Castris mi ha dato una risposta che ha dell’eclatante; la fase lucana è, in realtà, una fase esclusivamente potentina. “Non conosco altre opere del Pistoia in Lucania se non le due di Potenza”, mi ha scritto il professor De Castris. Per riassumere; le opere del Pistoia in Basilicata (Lucania) sono solo due e tutte e due si trovano proprio a Potenza. Quindi, la quarta fase, a parte la pala di Altamura, è una fase potentina. Quali sono queste due opere, questi due quadri? Il primo quadro potentino del Pistoia si trova in Santa Maria del Sepolcro e si chiama: L’Immacolata tra i SS. Rocco e Francesco”, mentre il secondo si trova nella Chiesa di San Francesco e si chiama “Natività fra i SS. Francesco e Giovanni Evangelista”. E’ lo stesso prof. De Castris che ha attribuito al Pistoia le due opere potentine. Sempre secondo questo super-esperto dell’arte pittorica al Sud per i secoli d’oro della pittura, le due opere potentine furono eseguite con la collaborazione di Antonio Stabile e furono eseguite dopo l’allontanamento del Pistoia da Napoli a seguito della sostituzione della sua già ricordata Presentazione al tempio. Nel quadro che si trova nella chiesa di San Francesco si vede un “Gesù Bambino, in primo piano, disteso su un morbido giaciglio di stoffa, (che) flette le gambette piene e protende le braccia e il viso verso la Madre ritratta, dietro di lui, con le mani giunte al petto e gli occhi socchiusi, intenta a pregare. Ai lati del Bambino, San Giovanni Evangelista è intento a scrivere il suo Vangelo, mentre San Francesco è genuflesso in Adorazione. Sullo sfondo si intravedono San Giuseppe e altri personaggi intenti a pregare, mentre in alto due putti reggicartiglio incorniciano, incontrandosi, la composizione. Invero essa è tutta giocata sull’asse che attraversa obliquamente la tela: Gesù, Maria e Giuseppe, ai lati dei quali si dispongono prima i due Santi principali, poi sullo sfondo le comparse. Manieristica è non tanto la libera disposizione delle figure nello spazio, quanto le figure in sé, parzialmente illuminate da un’intensa fonte luminosa proveniente da destra che esalta le pieghe degli abiti, la gestualità dei corpi, l’ondulazione delle linee, in funzione di una composizione dal ritmo mosso e concitato, tipica delle opere di Marco Pino da Siena”. Invece, “nell’Immacolata di Santa Maria del Sepolcro, la canonica immagine della Vergine in piedi, avvolta dal turbinio di nubi, sullo sfondo di un convenzionale paesaggio naturale, è accompagnata dalle possenti immagini di San Rocco e San Francesco, protesi ad adorare la Vergine. I volti dei due Santi ricalcano fedelmente quelli dei SS. Giovanni Evangelista e Francesco della Natività in San Francesco e quello della stessa Madonna è esemplato sulla Vergine della Natività, quasi il pittore usasse una sigla distintiva un marchio identificativo dei suoi personaggi. Qui, però, rispetto all’altra tela la composizione è più pacata, più nitida: le linee si distendono, le superfici si allargano e i personaggi hanno maggior respiro” (Villani). Si è ipotizzato pure che questo illustre protagonista della grande arte rinascimentale, allontanatosi da Napoli, non solo per l’affronto anzidetto in cui il Vasari ebbe certamente una parte non indifferente, ma anche per l’arrivo a Napoli del pittore spagnolo Pedro de Rubiales detto anche il Roviale o lo Spagnuolo, abbia aperto una bottega anche in Basilicata (l’aveva avuta sia a Roma sia successivamente a Napoli). Se questa ipotesi ha un fondamento, dove poteva trovarsi detta bottega? Ho ipotizzato che, se i soli quadri lucani del Pistoia si trovano a Potenza e che se il suo discepolo o uno dei suoi discepoli (ne aveva uno anche a Roma) era il pittore potentino Antonio Stabile, l’ipotesi più logica è che questa sua bottega l’avesse aperta proprio a Potenza. In mancanza di dati certi e per avere una risposta sicura mi sono rivolto di nuovo al professor De Castris. Egli ha concordato con me che si tratta dell’ipotesi più probabile, ma, come era prevedibile, ha concluso che Naturalmente si tratta di un’ipotesi, non di una certezza”. Non abbiamo, dunque, quest’ultima certezza, ma ciò che abbiamo sulla presenza potentina del Pistoia, di questo illustre pittore toscano del Rinascimento, è comunque tanto. Da oggi, sappiamo che il patrimonio artistico di Potenza è ancora più ricco e prestigioso di quello che neppure un anno fa soltanto si potesse immaginare.

 

PINO A. QUARTANA

Foto di Nicola Santagata;

1) Quadro a sinistra; Leonardo Grazia detto ‘Il Pistoia, “Immacolata tra i SS. Rocco e Francesco” in Santa Maria del Sepolcro – Potenza;

2) Quadro a destra; Leonardo Grazia detto ‘Il Pistoia’, “Natività tra i SS. Francesco e Giovanni Evangelista”, Chiesa di San Francesco d’Assisi – Potenza.

 

 

 

 

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