MISCELLANEA DI ESTRATTI SULLA POTENZA D’EPOCA ROMANA

Ripubblichiamo due estratti sulla Potenza in epoca romana, specificamente in epoca romano-imperiale. Gli estratti sono tratti, il primo, da uno studio del prof. Giovanni Mennella (Università di Genova) su una lapide rinvenuta a Potenza e che risale al 459 d.C. cioè agli ultimi scorci dell’epoca romana e ai primi tempi della epoca cristiana, tanto che Potenza era o stava per diventare sede di diocesi, una delle quattro sedi di diocesi della Lucania, una delle prime Diocesi lucane. L’epigrafe potentina parla di Maioriano, più conosciuto come Giulio Valerio Maggioriano o Maioriano (latino: Iulius Valerius Maiorianus; 420 circa – Tortona, agosto 461), che fu imperatore romano d’Occidente dal 457 al 461. Come secondo estratto vi proponiamo la ripubblicazione di un brevissimo brano di Teresa Lettieri, allieva di Giovanni Mennella sul rapporto fra la divinità Mefite, prima osco-lucana e poi anche romana, e la nascita della città di Potentia (Potenza).

UNA NUOVA DEDICA A MAIORIANO
E UN PROBABILE CORRECTOR LUCANIAE ET BRITTII NEL 459

Giovanni Mennella

In un recente aggiornamento all’epigrafia potentina, Marina Torelli ha illustrato un frammento di lastra di cm 54 x 28 x 12, con modanatura originale in alto e mutilo sugli altri lati, e con lettere di cm 2,7–3,4 separate da incostanti interpunzioni triangoliformi, che formano nove righe di un enigmatico testo di cui ha proposto la lettura seguente :

[—]n. Iulio V[—] / [—]no p.p. au[—] / [—]ntequo[—] / [—] patre pat[—] / [—]imerecon[—] / [—] Eutychius us[—] / [—] tt murorumco[—] / [—]nib evect[—] / [—]nt+[—]+[—]1.

Nel dettagliato commento, dopo aver sottolineato che i notevoli problemi interpretativi dell’epigrafe le hanno prudentemente consigliato di riportare il testo così come si legge sulla pietra, la studiosa è giunta alla cautissima ipotesi che il frammento si riferisca “a un’epigrafe di tipo sepolcrale” dedicata da Eutychius al proprio patrono Iulius, forse un ex primipilo e alla moglie, benché non sembri “attestato alcun nome femminile riconducibile alla terminazione [—]imere”; quanto alla cronologia, “l’aspetto paleografico dell’iscrizione trova confronti in epigrafi della tarda repubblica o dell’inizio dell’impero, anche se l’onomastica del dedicante sembra piuttosto ricondurre a epoca imperiale avanzata” 2. In realtà, conduce a epoca tarda pure la paleografia, con lettere di modulo variante e non sempre ben perpendicolari sul piano di scrittura, fra le quali si notano le O col tondo irregolare, le P con l’occhiello quasi chiuso, le A con la barra orizzontale obliqua, le E con le aste di pari lunghezza e, un po’ dovunque, le apicature caratteristiche di un’epigrafia seriore. Se poi si passa all’esame di ciascuna riga, si vede che le linee 1–2 contengono una titolatura imperiale, benché sembrino negarla le due lettere PP nella seconda linea: solvibile in p(rimus) p(ilus), la stessa sigla però ammette la lettura p(er)p(etuus), che ricorre nelle titolature imperiali più tarde e, in questo caso, compete a Iulius Valerius Maiorianus, l’imperatore che regnò dal 457 al 461, e di cui le due righe conservano l’intero gentilizio, l’inizio di un altro elemento onomastico e la fine del cognome nel formulario preceduto dalla consueta sigla D(ominus) N(oster), di cui si è salvata la N al principio della linea 1 3. Assumendo come larghezza massima dello specchio epigrafico originale lo spazio che la titolatura occupa nella seconda riga, e constatato che alle linee 4–5 traspaiono rispettivamente le lettere PAT e IMERECON, poiché nel 459 rivestirono il consolato Flavius Ricimer in Occidente e Iulius Patricius in Oriente, di primo acchito si sarebbe indotti a integrare il loro eponimato nella forma (Iulio) Pat[ricio] / et [Ric]imere con[sulib(us)]4, se il presunto nome del console orientale non figurasse in testa, contrariamente alla prassi, divenuta pressoché sistematica dal primo trentennio del quinto secolo, per cui ciascuna parte dell’Impero anteponeva il nome del proprio console a quello che le veniva comunicato dall’altra; è perciò inammissibile che in testi di carattere ufficiale (e la titolatura di Maioriano nell’intestazione dice che l’iscrizione potentina era tale), si derogasse da un principio che da tempo era divenuto una regola. Né tantomeno si sarebbe potuto omettere parte dell’onomastica di uno dei due consoli: per soddisfare la giusta simmetria delle due righe bisogna infatti supporre l’ulteriore inserimento di almeno un paio di lettere in aggiunta alla congiunzione et nella lacuna della linea 5, ma se si esclude la sigla del clarissimato (che ci si aspetterebbe di veder cumulata per ambedue i consoli dopo il secondo cognome), l’unico supplemento valido è l’abbreviazione del gentilizio Fl(avius) di Ricimero, che dunque completerebbe la dicitura affatto anomala Patricio et Fl(avio) Ricimere consulib(us). Le difficoltà principali sono però d’ordine storico, dato che nel 459 sia in Oriente che in Occidente si continuò a non pubblicare i nomi dei reciproci consoli, per i dissidi conseguenti alla proclamazione di Maioriano 5. Se ci fu, un graduale e tardivo ravvicinamento avvenne nel 460, quando ottennero il consolato Flavius Magnus in Occidente e Flavius Apollonius in Oriente, ma nel settore occidentale per il 459 i documenti epigrafici citano il solo Ricimero 6, e in Italia ancora nei primi mesi del 460 si continuava a datare col suo postconsolato 7. Scartato quindi un improbabile eponimato in coppia, non resta che pensare alla sola menzione di Ricimero, e tenuto conto che egli diventò patricius nel 457, si può integrare questo titolo alla fine della linea 4 e la sigla del prenome Fl(avius) in quella successiva, leggendo pat[ricio] / [Fl(avio) Ric]imere con[sule], senza alcun squilibrio nell’allineamento dell’impaginato. L’ipotesi non sembra lasciar adito ad alternative, benché in linea di principio non sia esente dall’osservazione che il titolo di patricius non compare mai nelle datazioni consolari; nel caso presente, però, l’eponimia, posizionata poco dopo l’inizio della dedica anziché in fondo come di consueto, fa pensare a un’intenzionale volontà di celebrare il personaggio attraverso il ricordo del suo consolato piuttosto che a un puro e semplice riferimento datante, completandolo col titolo forse più rappresentativo da lui conseguito fino a quel momento. In effetti, Ricimero era stato il principale artefice della proclamazione imperiale di Maioriano e, secondo alcuni, ne stava condizionando anche l’opera di governo 8; non si trattava, dunque, di un console qualsiasi, e il leggerlo quasi accanto al nome dell’imperatore poteva servire a confermare nell’opinione pubblica (e a rivendicare davanti alla corte bizantina, ancora restìa al riconoscimento), la concorde persistenza di un binomio sul quale si reggeva il destino dell’impero occidentale; non a caso, del resto, patricius si ritrova nell’onomastica di Ricimero nelle poche testimonianze epigrafiche che lo riguardano al di fuori delle semplici indicazioni eponimiche 9. Le linee 3–4 e 6 hanno rispondenze in parte comuni e vanno esaminate insieme, visto che vi compaiono i nomi di due personaggi intercalati alla datazione consolare: del primo restano le lettere QVO e il termine PATRE preceduti dal gruppo NTE, per il quale sembra ottimale l’integrazione [cura]nte rispetto ai più lunghi e diversamente significanti [insta]nte o [dispone]nte / [provide]nte, allusiva alla sua funzione di supervisore responsabile di qualche intervento di natura edilizia; le successive lettere QVO potrebbero invece convenire alla sigla del prenome Q(uinto) e all’inizio di un gentilizio Vo[—] in un regolare formulario onomastico trimembre, che però presso la classe dirigente e i magnati dell’inoltrato quinto secolo era ormai venuto semplificandosi con un ricorso sempre più diffuso a elementi nominali e a “supernomina” 10. Ha perciò maggiori probabilità di cogliere nel segno l’ipotesi di vedervi l’inizio del gentilizio Quoelius, una forma che assieme alla sua variante Qu(a)elius è la tarda latinizzazione del nome Coelius, attestata nell’uso epigrafico almeno dal III secolo d.C. 11 Quanto a PATER, non essendo ammissibile una valenza cognominale d’altronde non altrimenti né altrove documentata, bisogna convenire che si tratta di un’apposizione aggiunta per distinguere questo individuo da un Quoelius figlio, anche lui “in carriera” e localmente noto, che potremmo ravvisare nell’Eutychius menzionato alla linea 6, prima della sigla VS[P] del titolo di rango che lo connota quale probabile nuovo corrector Lucaniae et Brittii 12. La carica doveva leggersi fra la fine della linea 6 e l’inizio della successiva, ma l’entità del supplemento dipende dall’interpretazione delle due aste all’inizio della settima riga: se si intendono come due T, si può ripristinare il titolo ufficiale di corrector Lucaniae et Brittii con le usuali abbreviazioni CORR e LVC ET BRITT fra le linee 6 e 7 13; se invece le due aste vengono riferite a un numerale, si può allora sintetizzare la carica come nella carriera di Adelphius Clodius Celsinus, definito corrector regionum duarum in CIL IX 1576 = ILS 1239 durante il suo mandato nell’Apulia e Calabria anteriormente al 333 14. I due supplementi rientrano alla perfezione nella lacuna, ma il primo è di gran lunga preferibile, perché non obbliga a integrare una dicitura che rimane virtualmente unica e riguarda una diversa provincia, senza contare che lo stesso termine regio si incontra in testi di cronologia più alta, e che nell’epigrafe potentina il numerale apparirebbe in cifra 15. Ciò nonostante, e proprio per l’ampio margine discrezionale della congettura, si preferisce non discostarsi dai limiti prudenziali di una proposta da affidare a futuribili conferme, pur attribuendo un elevato grado di probabilità all’identificazione di questo nuovo governatore. La citazione del curator anteposta al corrector è del tutto insolita, e costituisce un’altra aporia dell’epigrafe, in quanto di norma i curagenti (sia governatori provinciali che honorati, principales o semplici curiali) compaiono nella parte finale delle dediche, quando vi sono ricordati come soprintendenti ai lavori (per lo più edilizi) e responsabili della loro organizzazione 16. L’apparente eccezione nell’epigrafe di Potenza tuttavia potrebbe spiegarsi, e implicitamente giustificarsi, con un intenzionale accostamento di padre e figlio, non tanto per celebrarne la compresenza nell’evento in sé, quanto per sottolineare, enfatizzandola, la rapida ascesa di una famiglia evidentemente originaria del posto, che da un prestigio dignitoso ma circoscritto a livello municipale, rappresentato da Quoelius [—] pater, nel giro di una sola generazione aveva conseguito gli onori senatorii con Quoelius Eutychius figlio, che stava fors’anche governando la provincia patria come corrector. Quale fosse l’intervento che accomunò l’impegno dei due Quoelii è detto nelle righe sotto: in particolare, alla linea 7 si leggono chiaramente MVRORVM e una C seguita dai netti contorni di una O, alla linea 8 compaiono le lettere NIB EVECT e infine, alla linea 9, appena una T forse preceduta da una N e seguita da una A, prima di un’altra lettera non più identificabile sulla linea di frattura in corrispondenza della E nella riga soprastante. Non è possibile ricostruire il contenuto della frase originaria, prevedibilmente lunga e aderente ai canoni stilistici e magniloquenti del tempo; se, comunque, si prova a conferire un senso compiuto alle poche parole superstiti senza debordare dalla marginatura stabilita, si vede che l’esigua varietà di supplementi adatti alle lettere CO in definitiva obbliga alla scelta univoca di columnae 17; difficile, quindi, non accostare questo termine al participio passato di eveho, che nella tarda latinità si trova impiegato spesso nel senso di “tirar su”, “innalzare”, e che farebbe presupporre l’esito participiale evectis o evectas, a seconda di correlarlo al precedente termine [—]nib(us) in ablativo, oppure di concordarlo a columnas, in accusativo retto da un verbo prescrittivo o da una equivalente locuzione nella parte finale del testo perduto. La seconda idea è però senz’altro migliore, se si vuole cogliere in [—]nib(us) la definizione di qualche struttura architettonica o decorativa complementare o sussidiaria alle columnae, per la quale l’unico riferimento verosimile si direbbe il plurale di crepido, da intendersi nel suo significato principale di “substructio, basis, suggestum”; di conseguenza, calcolando lo spazio massimo consentito dalla lacuna, vale forse la pena di arrischiare l’integrazione [ex crepidi]nib(us) evect[as], col participio collegato a co[lumnas] 18, ferma restando, allora, la necessità di spiegare l’inusuale espressione columnae murorum, per la quale solo in forma dubitativa, e nell’attesa di una proposta migliore, si può avanzare l’ipotesi, in fondo non stravagante, che si trattasse di colonne solidali all’opera muraria in funzione di paraste, rimesse in opera “ex novo” o restaurate, e poggianti su crepidines. La ricostruzione della dedica, a questo punto ultimata, necessita ancora di qualche aggiustamento, utile a completare il ventaglio delle varianti testuali in una restituzione grafica che rivela un’impaginazione allineata ai margini, e con le linee 3 e 5 più corte e reciprocamente simmetriche. Un rientro analogo potrebbe aver avuto anche la linea 1, riducendo il secondo gentilizio di Maioriano in un’abbreviazione di sole tre lettere che l’inoltrata cronologia di per sé non preclude, benché non sia riportato nemmeno nelle titolature sulle monete 19; altrimenti, lasciandolo per esteso, lo squilibrio che si crea a sinistra va colmato mediante un ulteriore supplemento che potrebbe essere l’attributo salvus, introduttivo delle titolature già in età antonina, ma invalso soprattutto nell’epigrafia tardoantica con significato bene augurante e propiziatorio, specie quando l’imperatore era riconosciuto solo in Occidente o era impegnato in campagne militari: giusto come si verificò nel 459, anno in cui Maioriano si trovava in Gallia, ormai in procinto di muovere contro i Vandali in una spedizione rivelatasi presto deludente 20. Peraltro, di fronte a questa plausibile presenza, il fac-simile non può esimersi da tre anomalie abbastanza discrepanti: come s’è visto, il consolato eponimo di Ricimero preceduto dal titolo di patricius, il curagens indicato nel contesto dell’epigrafe anziché nella sua parte finale, e la menzione di un intervento interagente, ma non ben definibile, su muri, columnae e fors’anche crepidines di un edificio ignoto, seppure di probabile fruizione pubblica; anomalie, invero, di per sé non invalidanti in una composizione redazionale apparentemente anomala rispetto ai coevi titoli su opere pubbliche, e tuttavia degne di essere sottoposte all’attenzione di chi vorrà intervenire con proposte migliorative sull’epigrafe, nella quale ciascuno dei quattro personaggi sembra svolgere quasi un proprio “ruolo” autonomo, e che al momento si propone di leggere così:

[Salvo (?) D(omino)] N(ostro) Iulio V[al(erio)] / [Maioria]no p(er)p(etuo) Au[gusto], / [cura]nte Quo[elio] / [—] patre, pat[ricio] / [Fl(avio) Ric]imere con[sule] / [Quoelius] Eutychius v(ir) s[p(ectabilis) corr(ector)] / [Luc(aniae) et Bri]tt(ii) (?), murorum co[lumnas] / [ex crepidi]nib(us) evect[as —] (?) / [—]NTA[—]+[—] / —– (?)

Primo documento veramente significativo nel “corpus” delle iscrizioni di Potentia 21, la lapide fornisce anche la prima titolatura completa, e in dedica ufficiale, relativa a Maioriano, un imperatore importante nel crepuscolo della “pars Occidentis”, ma che meglio si conosce grazie alle sue emissioni monetali piuttosto che dalle attestazioni sulle epigrafi, numericamente insignificanti e limitate a registrarne il nome nella data consolare 22. Nella probabilità, poi, di riconoscerlo come nuovo corrector Lucaniae et Brittii, [Quoelius] Eutychius si collocherebbe al quattordicesimo e ultimo posto nei fasti dei governatori della provincia, dopo Flavius Hadrianus Hierius Zenodorus, in carica nel 401 e documentato dall’epistolario di Simmaco (VI, 25; IX, 3), nonché dall’iscrizione AE 1916, 102 23. Con lui, adesso il numero dei correttori della provincia lucana fin qui noti ascenderebbe a venti per un arco di oltre due secoli, compresi un paio di anonimi e almeno altri sei di cronologia approssimativa: un’aliquota non tanto esigua da precluderci di constatare che, tolti due personaggi di datazione incerta, il posto fu sempre riservato ai clarissimi; l’iscrizione di Potenza fornirebbe l’ennesima conferma, e informerebbe che nel 459 lo occupava un appartenente agli spectabiles, la cui origine locale potrebbe non escludere l’esistenza di suoi rapporti di patronato con Potentia 24. La città era senza dubbio meno importante di Regium (l’attuale Reggio Calabria n.n.), sede ordinaria del governatore, ma nella sua elevazione a centro episcopale, avvenuta a quanto pare verso la fine del V secolo e dunque in periodo coevo alla dedica 25, potrebbe scorgersi l’indizio di una vitalità comunitaria ancora sufficiente a promuovere interventi (ri)costruttivi che godevano di qualche rilevanza architettonica e funzionale nella “forma urbis Potentinorum”.

NOTE

1 M. R. Torelli, Iscrizioni latine inedite o malnote del Museo Provinciale di Potenza, ZPE 106, 1995, 280–284, n. 2 e tav. XIVa = AE 1995, 371; in forma più succinta vd. Ead., Epigrafi latine potentine presso il Museo archeologico provinciale di Potenza, in AA.VV., Beni Culturali di Potenza (a cura di A. Capano), Agropoli 1989, 48 n. 2, e fig. 38, con presunta datazione al II secolo d.C. Il frammento, di cui si pubblica la fotografia per autorizzazione della Soprintendenza Archeologica della Basilicata, è conservato nel deposito del Museo Archeologico Provinciale a Potenza (inv. n. 34). Mi è grato rivolgere un vivo ringraziamento al collega G. A. Cecconi, col quale ho discusso diversi punti di questo lavoro, ricevendone fruttuose indicazioni.

2 M. R. Torelli (nota 1) 283–284.

3 La sua onomastica completa è Flavius Iulius Valerius Maiorianus: cf. R. Cagnat, Cours d’épigraphie latine, Paris 1914 (rist. an. Roma 1964), 250; PLRE, II, 702. Una bibliografia completa e il profilo aggiornato di questo imperatore sono dovuti a L. Camilli, s. v. Maiorianus, Diz. Ep. Ant. Rom., V 1997, 493–494.

4 Cf. PLRE II 842–843; Consuls of Later Roman Empire, Atlanta 1987, 452–453; cf. ibid., 22, circa i criteri adottati per stabilire la precedenza consolare nelle datazioni eponimiche.

5 Vd. le osservazioni relativamente agli anni consolari 457–459 in Consuls of Later Roman Empire (nota 4) 25, 451– 452, con l’aggiornamento della questione in G. Camilli (nota 3) 488–489.

6 Consuls of Later Roman Empire (nota 4) 451–452. Vd. ICUR VI 15783 = ILCV 3507 (14 marzo); ILCV 4403 (26 marzo); ICUR I 927 = ILCV 1510 (11 luglio); CIL III 13127 (ottobre, testo frammentario). Inoltre Ricimero da solo è ricordato da papa Leone al 6 di marzo (Leo, Ep. 168 = Pat. Lat., 54, col. 1211), e nelle Novelle, Maior. 9, in data 17 aprile.

7 Consuls of Later Roman Empire (nota 4) 460, con riferimento a CIL IX 1372 = ILCV 3185A (frammentaria, e non ascrivibile con sicurezza al postconsolato di Ricimero e Patricio è l’epigrafe dalmata CIL III 9522).

8 L. Camilli (nota 3) 490–491. Sulla figura di Ricimero e sulle sue discusse ingerenze nella politica di Maioriano oltre a PLRE, II, 942–943, vd. il recente aggiornamento di S. Krautschick, Ricimer. Eine Germane als starker Mann in Italien, in AA. VV., I Germani in Italia, Roma 1994, 269–287.

9 Cf., in particolare, CIL X 8072, 4 = XV 7109 = ILS 813, dove la dicitura “patricio Ricimere” coincide con l’integrazione proposta nell’epigrafe di Potentia.

10 Sull’onomastica dell’élite tardoantica cf. A. Cameron, Polyonomy in the Late Roman Aristocracy. The Case of Petronius Probus, JRS 75, 1985, 164–182, e in specie 171–173; I. Kajanto, The Emergence of the Single Name System, in L’onomastique latine, Paris 13–15 octobre 1975 (Colloques internationaux du CNRS, 564), Paris 1977, 419 ss.

11 W. Schulze, Zur Geschichte lateinischer Eigennamen, Berlin 1904 (rist. an. con agg. a cura di O. Salomies, Zürich 1991), 154, relativamente a CIL II 5698; III 2046, 2406; X 373, 1323; XI 2535, 2543, a cui si aggiunga AE 1976, 319.

12 A. Chastagnol, L’administration du diocèse italien au Bas-Empire, Historia, 13, 1963, 368–369 (L’Italie et l’Afrique au Bas-Empire. Scripta Varia, Lille 1987, 137–138); i successivi aggiornamenti sono in G. A. Cecconi, Governo imperiale e élites dirigenti nell’Italia tardoantica: problemi di storia politico-amministrativa (270–476 d.C.), Como 1994, 206, 219–220; Id., I governatori delle province italiche, AntTard 6, 1998, 149–179 (situazione della Lucania et Brittii in quest’ultima pagina).

13 Cf. ILS, III 2, Indices, 761; T. Elliott, Abbreviations in Latin Inscriptions (for the ASGLE web site), sub C ed L. Nell’uso epigrafico la forma abbreviata LVC si riscontra in CIL X 212 e AE 1916, 102, ma l’ipotesi ricostruttiva che si propone di per sé non esclude l’alternativa della sua più corrente variante LVCAN, che rientra ancora tutta nella lacuna, anche se l’abbreviazione triletterale riesce più equilibrata e rispetta meglio l’intervallo nelle spaziature.

14 Vd. A. Chastagnol, Corrector regionum duarum, Latomus 36, 1977, 801–804 = L’Italie et l’Afrique au Bas-Empire (nota 12) 229–232, dove l’iscrizione è confrontata con la dicitura, abbastanza similare, di corr(ector) [re]gionum  Lucaniae [et] Brittiorum tràdita da AE 1975, 261a (fine del III – inizi del V secolo).

15 Vd. G. A. Cecconi, Sulla denominazione dei distretti di tipo provinciale nell’Italia tardoantica, Athenaeum 72, 1994, 177–184. A favore della prima congettura bisogna anche aggiungere che il “ductus” un po’ più alto delle due aste non vale l’indizio di un numerale, perché sono ben evidenti le differenze di modulo in tutto il contesto (cf. a esempio la L alla linea 1, le O alle linee 1–2 e 3; le A alle linee 2 e 4), mentre viceversa non sfugge il loro “taglio” molto simile alla T della linea 6. Inoltre, al limite della frattura non c’è traccia di alcun segno interpuntivo che potrebbe avvalorare la presenza del numerale e che si dovrebbe intravedere se davvero ci fosse stato, data la forma ben marcata della sporadica punteggiatura; tale assenza, che si rileva bene e meglio nell’apparato fotografico presentato dalla Torelli, è stata confermata da un esame autoptico eseguito per l’occasione dalla mia allieva Teresa Perretti, che ringrazio.

16 G. A. Cecconi (nota 12) 144 ss., 186–187. Sulla terminologia, da ultimo A. Chastagnol, Le formulaire de l’èpigraphie latine officielle dans l’antiquité tardive, in AA. VV. La terza età dell’epigrafia. Colloquio AIEGL-Borghesi 86, Faenza 1988, 61–62.

17 Nei limiti della terminologia più comune pertinente alle iscrizioni su opera pubblica o commemoranti iniziative di natura edilizia, per cui vd. gli esempi in ILS III 2, p. 885.

18 Per i significati di crepido e di eveho cf. rispettivamente Th. l. Lat., IV, coll. 1167–1168, e Diz. Ep. Ant. Rom., II 1910, 1257, da completare con AE 1896, 12; 1938, 169; 1990, 304; 1993, 486, 650; 1994, 459; Th. l. Lat., V, coll. 1006– 1009 (crepido/crepidines figurano elencati congiuntamente a murus/-i in CIL V 1886 = ILS 5378; IX 5047; a columna /columnae in CIL IX 4875 = ILS 3479; XIII 2499; AE 1896, 12). L’ipotesi è preferibile all’eventuale lettura [locis om]nib(us), che a rigore è pur essa autorizzata dallo spazio da supplire, ma ha una valenza più generica che contrasta con la puntualità con cui, di solito, le epigrafi precisavano gli interventi eseguiti su opere di pubblico interesse: cf. in proposito gli esaustivi repertori di A. Chastagnol (nota 16) 57–60; E. Thomas – C. Witschel, Constructing Reconstruction: Claim and Reality of Roman Rebuilding Inscriptions from the Latin West, PBSR 60, 1992, 135–177 (prospetti a 175–176), con le osservazioni di G. G. Fagan, The Reliability of Roman Rebuilding Inscriptions, ibid. 64, 1996, 81–93.

19 L. Camilli (nota 3) 485.

20 L. Camilli (nota 3), 489–490. Sulla frequenza dell’attributo nelle titolature imperiali vd. ora A. Scheithauer, Epigraphische Studien zur Herrscherideologie. I. Salvis Augustis felix … Entstehung und Geschichte eines Formulars, ZPE 114, 1996, 213–226 (lista delle attestazioni a 223–226); S. Orlandi, Salvo Domino nostro, MEFRA 109, 1997, 31–34.

21 Pochissimo, del resto, si conosce sulla città e sulle sue vicende nel corso dell’età imperiale: vd. A. Russi, Lucania, Diz. Ep. Ant. Rom., IV 1973, 1894 ss. e specie 1905; Id., La romanizzazione: il quadro storico. Età repubblicana ed età imperiale, in AA. VV., Storia della Basilicata (a cura di G. De Rosa e A. Cestaro), Bari 1999, 538 ss., 556 ss.; A. M. Small, L’occupazione del territorio in età romana, ibid., 582 ss., 597 ss.

22 L. Camilli (nota 3) 485. La documentazione finora disponibile si riduce a ICUR II 4943 e VIII 22977; ICI, VII, 7 (dubbia); CIL V 8119, 2 = XV 7107 = ILS 810 (forse su di un exagium); RSLig 63–64, 1997–1998, 525–529.

23 G. A. Cecconi (nota 12) 220.

24 G. A. Cecconi (nota 12) 141 ss., 206; Id., I governatori (nota 12) 154–155; F. M. Ausbüttel, Die Verwaltung der Städte und Provinzen im spätantiken Italien, Frankfurt am Main 1988, 65 ss., 156 ss.

25 A. Buccaro, Le città nella storia d’Italia. Potenza, Roma–Bari 1997, 6; A. Capano, Potenza: note di archeologia, in Beni culturali di Potenza (nota 1) 34.

 

 

 

LA DEA MEFITE TRA POTENTIA E GRUMENTUM (ITALIA III REGIO)

Teresa Perretti

 

In conclusione, nell’asse Potentia-Rossano di Vaglio le dediche poste a Mefitis da esponenti della classe dirigente locale non sono poche sul totale delle attestazioni che ci sono giunte; è, questo, un aspetto che meriterebbe senz’altro qualche approfondimento che qui, però, mi limito appena ad accennare in una triplice prospettiva; anzitutto, si può ipotizzare che Mefitis fosse la divinità polìade di Potenza dal momento che in un testo ci si sarebbe rivolti a lei “pro municipio Potentinorum”; in alternativa, potrebbe darsi che ci fosse un legame sottinteso nel predicato Utiana e connesso con la fondazione della città stessa; se così, allora i riti sacri sarebbero stati una prerogativa della classe dirigente locale, stanti le ipotetiche relazioni del predicato Utiana con un culto gentilizio pertinente ad un antico “ghènos basilikòn” ; infine, non si può nemmeno escludere che in età romana fossero subentrati più concreti interessi economici inerenti la gestione ed i proventi del santuario (il Santuario federale di Rossano di Vaglio n.n.), che la classe politica potentina avrebbe avuto ogni interesse a dirigere ed a ‘normalizzare’ attraverso le manifestazioni di culto. Naturalmente una spiegazione non esclude l’altra; dopotutto, è ben noto che nel mondo antico, e romano in particolare, l’amministratore civico rappresentava una inscindibile unità di potere politico, religioso ed economico.

 

Nella foto; Museo Archeologico Nazionale di Potenza, Ricostruzione in miniatura del Tempio della Dea Mefitis di Rossano di Vaglio, a pochissimi km. da Potenza.

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